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Pixacao



Foto di Choque – São Paulo

“In questi anni abbiamo imparato come i graffiti siano una malattia planetaria, un virus incontenibile che si diffonde in tutti i contesti, dalle metropoli sterminate ai piccoli paesi di provincia. L’estremo Oriente e il Sud America, così come altri paesi in via di sviluppo non sono immuni, forse è proprio la stessa necessità di scrivere sui muri ad essere insita nel genoma umano. Tra i molti modi diversi di lasciare la traccia del proprio passaggio sulle superfici che il mondo mette a disposizione, scritte politiche, messaggi d’amore, slogan da stadio, tags, ne esiste uno tipico di alcuni paesi dell’America meridionale, le Pixacao.” (Garage Magazine)

“Pixos” P.Rivasi, R.Franzini, Pixos in “Garage Megazine”, Issue #11, Gennaio 2007


Foto di Choque – São Paulo

Per entrare più a fondo nel concetto Pixacao e trovare la giusta chiave di lettura, si può partire da un movimento a tutti noto come i Graffiti, o più dettagliatamente come Writing, e coglierne gli aspetti più simili.
Seppur diverse per certi aspetti stilistici e spaziali, queste due culture metropolitane portano in sé le stesse caratteristiche concettuali e comportamentali.
Gli iniziatori provengono entrambi dalle zone più emarginate della società, in reazione al proprio stato sociale, con il naturale obbiettivo di affermare la propria esistenza e intervenire a loro modo nello spazio che li circonda.
La strada è concepita come contenitore di sub culture, artistiche e musicali, che intrecciandosi e fondendosi tra loro hanno dato vita, da sempre, a tutte le più svariate culture giovanili.
Echi di Hardcore ed Heavy Metal risuonano nel mondo Pixacao, la sua stessa struttura stilistica si rifà ai logotipi delle band più famose di questi generi, portando la nascita e la continua evoluzione di un proprio alfabeto. Un’evoluzione grafica della lettera che ha reso questo movimento unico nel suo genere: a differenza della classica tag, la struttura del pixo si distingue per la sua rigidità accattivante, le lettere, staccate l’una dall’altra, mantengono tra loro un parallelismo e una conformità che rende la scritta quasi un timbro. Questo ordine, rigido ma allo stesso tempo istintivo, fa si che tutti i pixos, messi uno accanto all’altro, formino una texture di nomi che sebbene diversi tra loro per stile e cromatismi, si presentano all’osservatore come un unico blocco fatto di strisce orizzontali e verticali, quasi fossero un’unica opera.


Foto di Choque – São Paulo

L’approccio è soggettivo e poiché le regole non sono tante la miccia scatta istantaneamente nell’individuo, la moltitudine di firme che lo circondano lo stimolano a compiere il passo successivo: crearsi una nuova identità e unirsi all’onda.
Come per i Writers si comincia per gradi, partendo dalle prime firme dietro casa, fino alla totale immersione nel tessuto metropolitano. Si formano gruppi-crew con i quali si consolidano rapporti che vanno oltre una semplice amicizia, fino alla totale condivisione di un gesto che va contro alle regole.
Si colpisce in strada, dove tutti possono notarlo e la notte viene vissuta con occhi diversi, ci si spinge sempre più oltre, occasione che porta l’incontro e talvolta il confronto con altri gruppi nati parallelamente tra loro, dove la competizione diventa forma di stimolo per la crescita stilistica.
Si mettono alla prova le proprie capacità fisiche e mentali. La linfa vitale di tutto è l’adrenalina, quella sensazione nel fare qualcosa di proibito che solo chi pratica può sentire. Lo spettatore può percepire solo il residuo estetico dell’azione, come se arrivasse alla fine di una qualsiasi performance artistica e si trovasse di fronte il risultato compiuto: ciò che è stato prima ormai è irripetibile.
Essendo dunque un linguaggio strettamente soggettivo, per questo di difficile interpretazione, il riscontro col resto della massa per la maggior parte dei casi è negativo. Fermandosi alla sola e unica riproduzione della firma e avendo come unico obbiettivo la sua massima diffusione, i Pixos a differenza del Writing, che si sviluppa anche con forme curate di grandi dimensioni, tendono a marcare più territorio possibile con un unico stile, trovando così più difficoltà ad emergere in ambito internazionale. Difatti è stato grazie ai lavori di altri writers, ispiratisi ad essi, a permettere ai Pixos di uscire dal territorio paulista.


Foto di Choque – São Paulo

La moltitudine di firme che col tempo hanno ricoperto i palazzi della capitale brasiliana, hanno anche suscitato l’interesse dei media, che nel bene o nel male hanno fatto sì che nascessero libri che documentassero il lavoro dei pixos nel corso di questi anni.
Libri che spesso hanno solo ed esclusivamente rimarcato l’aspetto estetico del fenomeno, tralasciando il contesto storico, politico e soprattutto sociale in cui si è sviluppato.
“TTSSS…” Editoria Do Bispo, essendo stato curato da un vero pixadores, Boleta dei Vicio, approfondisce questi aspetti prima trascurati, dando una idea più chiara di ciò che sono esattamente i Pixos e i Pixadores.
Un testo che cerca di approfondire i moventi non solo estetici ma anche sociologici di chi pratica questa forma espressiva, specie in una città come San Paolo, e ancora più precisamente nella sua vasta periferia, in cui è facile lasciarsi trasportare dalla criminalità e l’esistenza di una valvola di sfogo alternativa per giovani ragazzi che non hanno niente da perdere può essere, per i più dotati, un modo per riuscire ad evadere da una società che li costringe in dei confini ben precisi.
Ciò che fanno è demarcare il territorio in cui sono nati e che in un certo senso gli appartiene. Se il primo ha iniziato e al suo seguito son diventati migliaia, evidentemente esiste un spirito o un istinto comune e da sempre presente nell’uomo, che lo ha spinto a scrivere la propria storia nei secoli: il bisogno di lasciare una traccia del proprio passaggio, anche una semplice scritta sul muro.


Foto di Choque – São Paulo

Il fatto che i pixos vadano oltre la semplice scritta su muro, li rende qualcosa di più profondo e stratificato, l’attenzione per lo studio delle lettere, con la creazione di un alfabeto personalizzato che permette di potersi distinguere l’uno dall’altro, lo catapulta direttamente in un’altra dimensione, lo fa diventare un movimento, un cultura con i propri principi e maestri. Il fatto che questo fenomeno non incontri il gusto o la comprensione della massa, ma soprattutto il fatto che il suo punto di partenza sia ben lontano dall’ambiente artistico o accademico, è il principale motivo per cui è ancora prematuro introdurlo nel contesto artistico contemporaneo. I Pixos come i graffiti, non sono nati con l’obbiettivo di inserirsi nel mondo dell’arte, non descrivono qualcosa di esterno da sé né rappresentano una qualche interiorità, ciò che emerge è la fredda rappresentazione continua del proprio nome, lo studio stilistico di una nuova calligrafia. Nascono fini a se stessi e in modo trasparente, lontano dai canoni che hanno influenzato tutte le altre forme d’arte contemporanee.
E’ il modo in cui tutto questo viene realizzato e la vita di chi lo pratica a renderlo una forma d’arte, l’azione e il gesto fondono il pixadores col tessuto urbano: un modo alternativo di vivere la notte e la città, obbiettivi da colpire mappati nella mente, che il giorno col suo nascere mette in luce. Una formula di espressione del proprio essere che non può essere commercializzata così facilmente all’interno di una galleria.
Chi comincia a fare pixos comincia per la fama, per il rispetto di chi come lui vive in strada. I veterani di questa cultura sono come rock star nel loro ambiente, venerati da chi ha appena iniziato a muovere i primi passi. Non esistono scuole o accademie dove poter imparare, ma solo l’interpretazione personale di ciò che si ha davanti: i più portati miglioreranno sempre di più le tecniche e lo stile e a loro volta le trasmetteranno ad altri, tutto fino a che il mercato riuscirà ad inglobarlo esaurendone la genuinità.


Foto di Choque – São Paulo

Come i graffiti anche Pixacao sarà destinato a finire nelle mani di persone che ne vedranno solo l’ennesimo modo per poter fare business. Siano questi i circuiti d’arte o della moda, con l’ingresso nella catena produttiva del mercato si perde l’impulso creativo naturale, si afferma lo standard dell’artista che è come una specie di macchina sforna-opere. Questa logica ha poi un riscontro anche in strada dove chi è rimasto “a spingere” il movimento come alle origini, vede la sua azione mercificata e banalizzata, di nuovo regolata e rinchiusa in contenitori fino a poco prima di difficile accesso come musei, gallerie, riviste ecc.. dove la massa, che continua a non accettare un pixo fatto in strada, magari lo applaude in galleria o su una tela, in un bel salotto, dopo un presunto buon acquisto fatto in asta.
Questa critica non vuole assolutamente generalizzare né svalutare l’arte contemporanea nella sua totalità, ma quando, come in questo caso, si ha a che fare con forme d’arte nate in strada, il passaggio dalla strada al mercato impone un “filtraggio”, una regolarizzazione che alla fine corrompe lo spirito dell’inizio. Bisognerà quindi ammettere che ogni esposizione, che sia in galleria su supporti e in luoghi diversi da quelli originali, ogni critica, articolo o saggio che non nasca nello stesso contesto in cui nasce un movimento, darà a sua volta un’interpretazione, più o meno vicina alla realtà, e con un diverso linguaggio, ma la vera arte, il pixo originale rimarrà e sarà sempre lì dove è nato.

Gian Mauro Spanu, Pixos, Tesi di Laurea Accademia di Belle Arti di Firenze, marzo 2009