Oggi, 30 gennaio, vorrei parlare brevemente di Mohandas Karamchand Gandhi, in onore di questo maestro della pace, a sessant’anni dalla ricorrenza della sua morte.
Il Mahatma, che in sanscrito significa “la grande anima”, è il soprannome che il celebre poeta indiano Rabindranath Tagore conferì per la prima volta a Gandhi e con il quale è mondialmente conosciuto. Questo esile avvocato nativo dell’India ha profondamente trasformato la visione comunemente accettata della non-violenza come atto passivo. La non-violenza è un atto che solo l’uomo coraggioso può compiere: è la scelta della verità.
La vita di Gandhi è stata spesa nel tentativo di dimostrare che la pratica del satyagraha, ovvero la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa, è un’arma spirituale capace allo stesso tempo di umanizzare sia l’oppresso che l’oppressore, e di pervenire a risultati concretamente soddisfacenti da un punto di vista politico. Colui che decide di praticare l’ahimsa (non-violenza) deve innanzitutto vincere sulla natura oscurata della propria vita attraverso un continuo allenamento, una disciplina costante delle pulsioni degenerative e nefaste che coabitano con l’uomo, come la collera, l’avidità e la mancanza di giudizio. Come praticante del karma-yoga, basato sull’insegnamento della Bhagavad-Gita (uno dei testi fondamentali della tradizione spirituale indiana), Gandhi non si presenterà mai come un filosofo, o come un politico, ma sempre come un soldato semplice della Verità, concetto che per tutta la vita assocerà a quello di Dio, intento a sperimentare la pratica dell’ahimsa così come uno scienziato che empiricamente mette alla prova la propria teoria. Sono le azioni che contano; le belle parole senza azione sono come morte.
Questa era la convinzione del padre dell’India.
L’inizio del suo percorso di attivista risale agli anni in cui si trovava in Sudafrica, terra dove Gandhi si renderà conto sulla sua pelle delle aberranti dinamiche del razzismo. Sarà infatti buttato fuori da un treno per essersi rifiutato di sedere in terza classe pur avendo un biglietto valido per la prima e verrà espulso da un tribunale perchè deciso a non togliersi il turbante. Ma la lotta che lo porterà ad essere conosciuto in tutto il mondo e far conoscere ad ogni uomo qualcosa in più su se stesso, sarà la lotta per l’indipendenza dell’India dall’occupazione inglese.
Ha proprio ragione Einstein quando dichiara che “il mondo stenterà a credere che un uomo simile abbia mai messo piede sulla Terra”, perchè attraverso la disobbedienza civile, fatta di digiuni attuati quasi fino al decesso, proteste che vedranno la morte di molti compagni, anni di galera e azioni volte alla riappropriazione dell’indipendenza economica indiana (la famosa marcia del sale e l’uso del charka, il telaio), Gandhi sfiderà la grande Inghilterra e il mondo intero, dando la prova concreta che un uomo deciso a vincere su stesso può parlare al cuore degli altri uomini, ed indurli così a divenire un esercito di non-violenti che non può essere fermato da nessuna logica di potere e di violenza.
Troppo dedito al proprio miglioramento per giudicare gli altri, troppo deciso a percorrere la strada dell’ahimsa per essere fagocitato dal potere, Gandhi è il simbolo di quella parte di umanità che ancora crede nell’uomo, che crede ad una politica di cui l’etica sia parte integrante, così come la coerenza dei politici (leggete bene, politici!) con ciò che viene predicato; che crede che l’essere umano sia dotato in quanto tale di una luce più profonda del buoio che manifesta, una luce che il Mahatma ha chiamato Verità e che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, perchè ogni uomo se vuole può conoscerla direttamente, una Verità antica come le montagne.
Da 055news