Prima di diventare Mr. Gold ero soprattutto un writer, ed è in virtù di questa passione che il mio Progetto è diventato ciò che è ora: mi sono avvicinato allo streetwear proprio grazie ai graffiti, e non rinnegherò mai questo mondo.
Da fiorentino amante di Firenze e da individuo che si trova a vivere quotidianamente il cuore della città, mi sento però in dovere di esporre il mio punto di vista a proposito del degrado del centro storico fiorentino, che ritengo vergognoso.
Lettering e illegalità
Se analizziamo il variegato mondo dei graffiti, ne individuiamo immediatamente due aspetti fondamentali: il lettering e l’illegalità, che sono facce inscindibili di una stessa realtà, e chiunque dica il contrario non sa di cosa parla.
Il lettering – cioè lo studio dei caratteri – è l’anima del writing, che appunto significa scrivere. Scegliere un nome (il mio era Rash), studiare il modo per rendere quelle lettere originali ed evolverle, è ciò che differenzia questo fenomeno dall’aerosol art, ossia l’utilizzo dello spray per uso pittorico.
L’altro aspetto è l’illegalità. Generalizzando, tutto nasce da un qualche disagio, e se originariamente si trattava di quello di chi abitava nei sobborghi delle grandi metropoli, adesso – ed è anche il mio caso – è più strettamente legato al sentirsi soltanto un numero all’interno di una società chiusa come una gabbia.
È durante l’adolescenza che si iniziano a intuire i meccanismi del sistema all’interno del quale saremo presto catapultati, decidendo al contempo di non essere più soltanto un ingranaggio: sono questi gli anni in cui si comprende la necessità di costruirsi una forte identità personale, ed è così che una volta “armati” del proprio nuovo nome si inizia a “bombardare” la città.
Ridisegnare il proprio ambiente
Il writing per me era una sorta di “allestimento” dell’ambiente all’interno del quale mi muovevo, mi piaceva ripercorrere di giorno le strade che “decoravo” durante la notte.
Questo meccanismo mentale reggeva su un particolare decisivo: non avevo alcun concetto di proprietà privata – altro punto fondamentale legato al writing – ed ecco che ancora una volta è importante soffermarsi sull’età che si ha quando ci si avvicina a questo mondo. Quando si vive con i genitori non si abita in casa propria, così come quando abbiamo delle cose (il motorino, lo zaino, il diario) non ce le siamo comprate con i nostri soldi, ed è questo ciò che ci fa sentire autorizzati a scriverci sopra, a decorarle, poiché non avvertiamo un grande senso di responsabilità nei confronti di oggetti che non ci appartengono veramente.
Un aspetto positivo che devo al writing è la caparbietà: quando un writer si mette in testa di dipingere un determinato spot, non ci sono dubbi che lo farà. Si possono dedicare notti intere allo studio del luogo e dei movimenti, possono essere necessari anche dei mesi, ma alla fine la “missione” sarà portata a compimento. Quando disegnavo sui treni mi capitò per esempio di ferirmi alla testa cadendo da un muretto: dodici punti sulla nuca, quattro al sopracciglio, una settimana di convalescenza e tornai a dipingere nel medesimo luogo.
La mia esperienza newyorkese
Decisi di smettere col writing quando terminai gli studi e scelsi di andare a New York: l’idea di poter essere cacciato dagli States se colto in flagrante mi fece passare la voglia di rischiare il posto di lavoro.
Durante la mia esperienza newyorkese ebbi comunque occasione di approfondire in maniera più matura il fenomeno del writing, soprattutto grazie alla possibilità di incontrare dal vivo alcune leggende degli anni ‘80 come Futura, Stash, Phase2 e Ghost: era il 2002 e lavoravo presso Zoo York – marchio di abbigliamento skate della East Coast, che puntava tantissimo sui graffiti – ed era anche il periodo in cui venivano editati
molti libri che trattavano il tema. Partecipai spesso ai party di lancio di queste pubblicazioni, il che mi permise di entrare in contatto con le personalità più in vista dell’ambiente.
Come si dice, al posto giusto nel momento giusto.
L’evoluzione di una passione
Tornato a Firenze con l’intenzione di dare vita a Gold, decisi di dedicare molto spazio al mondo dei graffiti all’interno del progetto, dato che il target a cui parlavo includeva anche gli appassionati di writing. E fu così che il negozio di via Verdi divenne il primo posto a Firenze a rivolgersi in modo diretto ai writer: qui si trovavano bombolette spray, marker, libri e fanzine che fino a quel momento erano reperibili solo tramite corrispondenza o nelle grandi città europee.
Anche il modo con il quale Gold è emerso è assolutamente riconducibile ai graffiti: gli sticker sono una tag prestampata e più precisa, ma il concetto è esattamente il medesimo.
Inizialmente – soprattutto grazie al fatto che molti degli amici che gravitavano intorno al negozio erano writer – decisi di organizzare una certa quantità di iniziative legali in tal senso, come la realizzazione di graffiti sui pannelli dei lavori in piazza Mino a Fiesole, diverse jam in spazi richiesti al Comune, e decorazioni sui bandoni dei negozi di via Verdi. Inoltre, anche la realizzazione delle t-shirt era strettamente connessa al fenomeno del writing.
Così come in passato studiavo le lettere per poi poter fare un “pezzo” su un treno con la speranza che ottenesse visibilità, ora studiavo le grafiche da applicare sulle t-shirt che poi sarebbero state indossate dalle persone. Avevo l’occasione di collaborare con alcuni dei miei miti del passato, ai quali commissionavo le grafiche: era l’evoluzione legale del brivido egocentrico e fuorilegge che mi avevano sempre dato i graffiti.
Ovviamente, questo uscire allo scoperto mi portò ad essere capro espiatorio dei dissensi generali suscitati da un fenomeno ancora troppo sconosciuto in quegli anni: nel 2004 alcune testate giornalistiche cittadine dedicarono diversi servizi al degrado che stava subendo Firenze a causa dei graffiti, e noi fummo tirati in mezzo; fortunatamente ebbi la possibilità di replicare esprimendo il mio punto di vista.
Il centro storico fiorentino
Ai tempi in cui ancora dipingevo, vigeva una legge non scritta per tutti i writer fiorentini: il centro storico non andava toccato; purtroppo però, anche a causa di una serie di combinazioni, questo divenne invece il palcoscenico di atti di vandalismo. Alcuni writer stranieri – Spase fu il primo – iniziarono a taggarlo, sdoganando il tabù che avevamo rispettosamente osservato fino a quel momento e fornendo l’alibi ai nuovi giovani, fiorentini e non, per svolgere la loro “guerra alla popolarità“ tra i palazzi rinascimentali.
Sfortunatamente, il confine tra vandalismo e writing è veramente labile e ciò che stava accadendo era senza dubbio frutto della superficialità di vandali.
Per dirla in modo chiaro, io sono fortemente contrario al writing all’interno del centro storico fiorentino, e ritengo che chi dipinge su un muro che esiste da centinaia di anni non sia troppo diverso da chi ha spaccato la mano del Biancone in piazza Signoria, e se non capisce la differenza è solamente un coglione.
Personalmente ho sempre espresso il mio pensiero confrontandomi con i più giovani, ma non sempre sono riuscito a instaurare un dialogo costruttivo; questo è il motivo per cui a suo tempo ho scelto di prendere le distanze da questo mondo, eliminando la vendita degli spray dal negozio di via Verdi, e cercando di alzare ancora di più il livello della mia ricerca personale.
Piccoli writer crescono
L’evoluzione dei writer è un fenomeno che ho potuto vivere in parallelo con alcuni miei “colleghi” del tempo: coloro che una volta si erano allontanati dal sistema creandosi una nuova identità, adesso, a distanza di anni e inseriti nel mondo del lavoro, si riappropriavano del loro vero nome per imporsi sulla società grazie alle loro doti artistiche. È proprio così che Blef è diventato Christian Blef, Zuek si è fatto Zuek Simonetti, e Bean One è tornato ad essere Luca Barcellona.
Non si è trattato di rinnegare il passato, ma di chiudere un capitolo.
Arte e business
La mia crescita individuale è coincisa anche con una crescita internazionale dell’interesse per il fenomeno della street art.
Come accennavo prima, mi trovavo infatti a New York quando, nei primi anni del 2000, le leggende del passato cominciavano a tirare le fila di ciò che avevano costruito e a pubblicare libri che ne narravano le gesta ad un pubblico più vasto.
Nel frattempo, alcune case di moda iniziavano inoltre a strizzare l’occhio a questo mondo che era diventato parte integrante dell’ambiente: ricordo che le prime opere di Banksy che vidi dal vero si trovavano nel negozio di Triple Five Soul sulla Fayette Avenue a Manhattan. Sempre in quel periodo, Nike realizzò molte collaborazioni con questi ex “ragazzi” ora diventati artisti a tutti gli effetti.
Quando rientrai in Italia e detti il via al Progetto Gold, mi resi conto che questo sdoganamento culturale era in atto anche in Europa: Daze, per esempio, espose una serie di quadri (che vendeva a prezzi stratosferici) presso la galleria di Enrico Coveri a Firenze, e pochi anni più tardi Amaze si mise in mostra presso la Fondazione Cartier. Cose analoghe accadevano in contemporanea anche alla Tate, al Moma e al Musee d’Orsay: la critica aveva ufficialmente inserito il writing nel mondo dell’arte.
La street art prende campo
Sempre in questo periodo alcuni ex-writer, cito tra tutti Blu e Dem, abbandonano le lettere per passare al figurativo, ma non abbandonano il supporto che hanno utilizzato fino a quel momento: la strada.
Le loro opere diventano immediatamente un cult e la street art si fa pop.
Ovviamente c’è chi prova a guadagnarci, ed è così che nascono agenzie di comunicazione specializzate in graffiti e aste televisive in cui si vendono tele realizzate da writer italiani, trasformando l’intero fenomeno in un circo.
Tirando le somme
A causa del bombardamento mediatico cui sono stato sottoposto, ho sviluppato – sia per passione che per interesse personale – un occhio molto critico sui graffiti, che mi ha portato ad analizzarli per quello che sono in realtà, e cioè il punto di partenza di una ricerca artistica.
Ciò che li rende speciali è il fatto di essere parte della superficie urbana e questo, quando l’artista che li realizza è bravo, li rende opere d’arte, proprio come alcuni scarabocchi o appunti di grandi artisti del passato. Questo è ciò che permette al writer di emergere, fino a diventare un artista che espone in una galleria, ma quando si arriva a questo, dal mio personalissimo punto di vista, non si parla più né di writing né di street art, fenomeni legati alla strada per definizione.
Per ciò che mi riguarda, l’obiettivo è valorizzare questo movimento, cercando di discostarmi dalle mele marce che lo inquinano, e realizzare qualcosa che riesca ad avvicinarvi sempre più persone, come t-shirt o eventi del calibro di Gavinana Reloaded.
Concludo con una citazione anonima trovata sul web:
Accusing a younger generation of being more selfish than the last is to forget the problem is youth not generation, a problem cured by time.