In quello che sembra essere stato l’appuntamento tutto digitale, a causa del Covid-19, della Milano Digital Week, si è parlato anche di detenuti e VR.
La realtà virtuale diventa ancora una volta binomio con i detenuti.
Ma cosa c’entra la VR con i detenuti? Chiederete voi.
Lo spiega benissimo Paolo Strano, Presidente dell’associazione Semidilibertà, lo potete vedere qui. Le sue parole sono semplici, e fanno centro. Fa un parallelo facile facile con chi pensa di essere stato privato di molte libertà durante questo lockdown, e strumentalizza il sentimento per farci sentire un po’ partecipi alla sua causa.
Con me funziona, anche se non mi sono sentita privata di chissà quale libertà nel lock down, anzi sono stata grata dei meccanismi di protezione che abbiamo messo in atto. E ci illustra la app WORKIN(OUT), amo anche il gioco di parole, della start up romana Keiron.
Come funziona WORKIN(OUT)?
In pratica, indossando il visore, il detenuto può fare esercizio fisico.
E basta?
Innanzitutto è pensata per fare HIIT, allenamento ad alta intensità, pur rimanendo confinati in celle di 3 mt per 3. Puntando al benessere del detenuto, in luoghi in cui c’è parecchia carenza di movimento, non solo si fa esercizio fisico, ma si aumenta il benessere psicologico.
Quindi la VR per i detenuti migliora il loro stato fisico e psicologico?
Sì e non solo loro. Quando calano le tensioni lavora meglio anche la Polizia Penitenziaria e calano le recidive. Quindi, meno reati e alla fine ci guadagnamo tutti. Basterebbe questo. Poi però Paolo Strano ha buttato lì un dato:
Nelle carceri più del 30% sono in attesa di giudizio. Cioè circa 20.000 persone innocenti fino a prova contraria sono in una cella 3×3 ( sì la cella 3×3 mi ha colpito), di cui almeno la metà, ovvero 10.000 persone, poi risultano innocenti.
Ecco pausa. Fate risuonare in voi quei numeri.
VR per la riabilitazione
Non è la prima volta che la VR fa coppia con i detenuti, perché già dal 2017 la statunitense Virtual Rehab lavora in questo senso. Non limitandosi solo ai detenuti, ma estendendo il beneficio della realtà virtuale a tanti settori toccati da recidive, implementando e impiantando virtualmente nuove abitudini.
“Virtual Rehab sfrutta i progressi della tecnologia della realtà virtuale insieme all’intelligenza artificiale per prevenire e curare i pazienti con disturbi da uso di sostanze e riabilitare i recidivi. Ci sono oltre 251 milioni di persone che soffrono di abuso di sostanze e oltre $ 136 miliardi sono spesi per il trattamento della dipendenza in tutto il mondo.
Alla Virtual Rehab, la nostra soluzione potente e innovativa, ha lo scopo di riabilitare piuttosto che punire. Lo scopo della nostra soluzione include la riabilitazione psicologica e correttiva. I servizi di Virtual Rehab si estendono ad ospedali, centri di riabilitazione, polizia penitenziaria, detenuti e altri settori verticali.”
VR Free – We are free
Le parole di Paolo Strano mi danno da pensare. In primis, a quanto poco ne so sull’argomento. E poi, a quanto poco mi interessa, nel senso che per me è una realtà lontana. Fortunatamente né io, né nessuno dei miei cari vive – o ha vissuto-un’esperienza simile e quindi, il problema per me non sussiste. Riflessione brutale, ma reale.
Per ovviare questa lontananza empatica, che non deve essere solo mia, ha fatto un film in VR il regista Milad Tangshir, che spiega lo scopo sociale della sua scelta: “per stimolare una consapevolezza maggiore delle condizioni di vita e della realtà della detenzione, così vicina a noi eppure così poco conosciuta”.
VR Free, documentario del regista iraniano Milad Tangshir, è stato girato con riprese a 360 gradi all’interno della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, con lo scopo di far vivere allo spettatore un’esperienza immersiva della realtà del carcere.
Il film funziona a doppio senso, se da un lato ci rimanda l’esperienza del detenuto per risvegliarci a questa realtà, dall’altra la VR fa rivivere l’esperienza della liberà al detenuto.
Il film raccoglie la reazione di alcuni detenuti durante il loro breve incontro con video 360° che mostrano la vita fuori dal carcere. Usando i visori VR e le cuffie, i reclusi hanno virtualmente potuto partecipare ad alcune situazioni pubbliche e intime che non possono più vivere, come una partita di serie A allo stadio, una festa in discoteca il sabato sera, un’immersione sottomarina, l’incontro con la propria famiglia in un parco pubblico.
La VR elimina la distanza. In tutti i sensi.
Fonte: Milano Digital Week, Data Manager,Torino Oggi, Amnc