Questa autobiografia di Marc Chagall è un’opportunità preziosa per conoscere l’infanzia e l’inizio della carriera artistica di uno dei più preziosi pittori del Novecento.
Si tratta di una ricostruzione che di prettamente razionale possiede solo la linearità cronologica degli avvenimenti; come nei suoi quadri, Chagall dipinge la sua vita con i colori delle emozioni, più che dell’intelletto, in un turbinio di fatti, pensieri e sensazioni che s’intrecciano in modo apparentemente distratto, ma genuinamente spontaneo.
Il libro parte dalla prima infanzia e si conclude con l’esperienza della rivoluzione bolscevica. Manca quindi gran parte della vita dell’artista (deceduto nel 1985, all’età di 97 anni), ma questi pochi anni racchiudono in realtà delle esperienze fondamentali che rivelano il percorso emotivo e pittorico di questo grande maestro contemporaneo.
Fin dalle prime pagine ci accorgiamo di non essere davanti ad un opera comune; le proposizioni sono brevi, impulsive, prive di ricercatezza, ma non per questo assenti di poetica evocazione, che fuoriesce naturalmente dalla penna di Chagall, capace (non c’era da dubitarne) di usare l’inchiostro come mille sfumature e le parole come bizzarre figure. L’autore usa indifferentemente i tempi dei verbi senza tenere granché in considerazione le regole della sintassi, simbolo questo della sua preferenza per un’attenzione di tipo emotivo più che storico.
Ma di regole, lo sappiamo, Chagall ne fa volentieri a meno. Ed ecco che dopo aver descritto il fabuloso mondo della sua infanzia, cadenzato dalla povertà e dalle fiabesche figure e festività yiddish caratteristiche della sua cultura d’origine, il pittore russo punta il dito contro il formalismo, il tecnicismo e il razionalismo pittorico contro cui dovrà confrontarsi e dal quale istintivamente si sentirà spinto a distanziarsi fin dai primissimi contatti col mondo dell’arte.
“Ma la mia arte, pensavo, è forse un’arte insensata, un mercurio fiammeggiante, un’anima azzurra, zampillante sulle mie tele”, scrive Chagall. “E rimuginavo: ‘Abbasso il naturalismo, l’impressionismo e il cubismo realista!’. Mi rendono triste e impacciato. Tutti i problemi – volume, prospettiva, Cézanne, la scultura africana – sono di nuovo sul tappeto. Dove andiamo? Cos’è mai quest’epoca, che canta inni all’arte tecnica, che divinizza il formalismo? Che la nostra follia sia la benvenuta! Un bagno espiatorio. Una rivoluzione di fondo, non soltanto di superficie. Non chiamatemi lunatico! Al contrario, sono realista. Amo la terra”.
E della superficialità della Rivoluzione d’Ottobre Chagall, nonostante in principio vi abbia preso parte attivamente, dovette ben presto rendersi conto a sue spese. L’estrosità, il surrealismo e l’emotività dei suoi quadri, così come, ovviamente, della sua personalità, entrarono rapidamente in contrasto col formalismo burocratico del nuovo regime.
Chagall, dopo aver diretto una scuola di belle arti presso Vitebsk, ormai divenuto famoso in patria e all’estero, decise di trasferirsi prima a Mosca per poi lasciare definitivamente la tristemente amata Russia, stabilendosi a Parigi assieme al primo dolce amore della sua vita, Bella. Un ritratto particolare di un uomo altrettanto singolare.