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Jazzsteppa: Come scoprire il futuro tra i solchi del vinile



Pochi cazzi. Uno dei dischi dell’anno è “Hyper Nomads” dei Jazzsteppa.

Il disco del dinamico ed omonimo duo – uno si chiama Gal e l’altro pure – non nasce dal nulla ma è frutto di un percorso cominciato nel 2005 su un programma di file sharing a Tel Aviv. E’ infatti tramite Soulseek che Gal – quello che suona il trombone, diciamo – si imbatte per la prima volta in questo nuovo suono al quale ancora non sa dare un nome: la dubstep.

Fino a quel momento sia lui che il suo compare era intenti a cimentarsi in una swing band e in un progetto di drum n bass suonata dal vivo. Chiaro che il passo seguente non poteva che essere una nuova forma di dubstep suonata live, con un tocco di swing e tanto, tanto trombone.

Segue una serie di EP, tra cui l’interessante “Fuck Jazzsteppa”, fino all’anno del Signore duemilaeundici, che vede la pubblicazione dell’esordio sulla lunga distanza per il duo Gal & Gal. “Hyper Nomads”, uscito su Studio Rockers, rappresenta sicuramente un balzo verso l’ignoto, mostrando un anticipo delle evoluzioni future che questo multiforme genere potrà assumere.

Un sorso di futuro tra i solchi del presente. I solchi del vinile, ovviamente.

Quando chiamo Gal – sì, sempre quello col trombone – lo trovo a casa sua, a Tel Aviv, dove è impegnato col suo omonimo, per una data del tour di “Hyper Nomads”. Ora, considerato che una trasferta in Israele è sicuramente affascinante, ma anche un tantinello ostica, potrete rimediare alla vostre lacune acustiche venendovi a sentire i Jazzsteppa alla Flog di Firenze, il prossimo venerdì 23 dicembre, per la seconda data di Dissonant Live.

Siateci.

Questo sembra davvero un bel momento per voi.
Beh si, devo dire che ultimamente la vita ci sta trattando bene. Stiamo suonando parecchio. Abbiamo chiuso il nostro primo album lo scorso luglio. Abbiamo avuto la possibilità di suonare in luoghi esotici come l’India e le Barbados. Siamo andati in Russia. Stiamo suonando un po’ ovunque.

Riuscite a fare altro oltre al tour?
Si, sto lavorando su alcune cose nuove e su un nuovo progetto, ma il tour bene o male sta assorbendo tutte le nostre energie.

Complimenti per “Hyper Nomads” è davvero un gran disco.
Grazie. Sono passati circa due anni, dal momento in cui abbiamo cominciato a lavorarci al momento in cui abbiamo consegnato il master all’etichetta. Ma oltre a due anni di lavoro ci sono quasi 30 artisti coinvolti nella produzione del disco, oltre a tutta una serie di figure dell’etichetta Studio Rockers, che ci hanno profondamente aiutato, anche da un punto di vista economico. Siamo arrivati al punto in cui avevamo una ventina di produzioni delle quali eravamo soddisfatti, ed in quel momento abbiamo deciso di uscire con un album.

Qual era l’idea dietro al disco? Avevate già in mente il tipo di sonorità che volevate ottenere?
Beh si. Come sai, prima di “Hyper Nomads”, che è il nostro primo LP ufficiale, abbiamo rilasciato circa 5 o 6 EP. Quindi l’idea era quella di portare le nostre produzioni al “next level”, mantenendo però il sound dei Jazzsteppa. Direi che all’interno dell’album il “sound” è più o meno lo stesso dall’inizio alla fine. Le canzoni appartengono invece a generi diversi. Ma credo che alla fine l’idea di fondo dietro al progetto Jazzsteppa sia quella di unire il calore degli ottoni al suono scuro e digitale dei beat, e questo è sicuramente presente nel disco, e ne sono assolutamente soddisfatto.

Che musica facevi prima del progetto Jazzsteppa?
Ho suonato in svariate band. Mi sono trasferito a Berlino nel 2006 circa ed esattamente in quel momento io e Gal abbiamo dato vita al progetto Jazzsteppa. Suonavo in tre band che facevano reggae, dub e swing, mentre con Gal avevamo un altro progetto in Israele col quale facevamo drum n bass dal vivo. Quindi siamo più o meno sempre stati coinvolti con la musica, mentre per quanto riguarda il discorso delle produzioni è una cosa che abbiamo cominciato a fare solo col progetto Jazzsteppa, e quindi abbiamo dovuto imparare tutto.

Tu che strumento suonavi?
Dipende dalla band. Il mio strumento principale è il trombone, che ho inizato a suonare quando avevo nove anni. Poi però mi sono dato anche alla chitarra, il piano, la batteria, le percussioni e sono, bene o male, in grado di suonare tutti questi strumenti. Ce ne sarebbero anche altri ma fondamentalmente sono questi.

Quindi in qualche modo il “Jazzsteppa sound” è un po’ il riassunto delle tue esperienze precedenti?
Non la metterei in questi termini, ma sicuramente non sei lontano dalla realtà. E’ vero che si tende a portarsi dietro almeno qualcosa da ogni singolo progetto al quale si è lavorato, questo è innegabile. Quindi si, direi che quello che hai detto è corretto: c’è sicuramente molto del mio passato nel progetto Jazzsteppa.

Dallo swing alla dubstep il passo è lungo. Come sei venuto a contatto con questo mondo?
E’ stato nel 2005. Mio fratello più piccolo usava un software per scaricare, Soulseek, te lo ricordi?

Certo!
Beh, allora ti ricorderai che Soulseek era parecchio grosso nel 2005, e mio fratello scaricava davvero tanta musica. Un giorno mi diede una manciata di tracce di artisti diversi. Non sapevo come si chiamasse allora, non sapevo se avesse già un’etichetta o meno, ma il suono mi sembrò subito interessante. Era qualcosa che io non avevo mai sentito e sicuramente qualcosa di completamente nuovo. Poco dopo, il mio socio Gal, che già viveva a Londra mentre io ero ancora a Tel Aviv in procinto di trasferirmi a Berlino, mi chiamò dicendomi: “Hey, qui a Londra sta succedendo una cosa che si chiama dubstep”. Provò a spiegarmi di cosa si trattasse, ma non aveva musica con sé da farmi sentire, quindi pensai subito: “Questo mi ricorda qualcosa.”

Così feci un po’ di ricerche del caso e capii che sotto l’etichetta dubstep stavano quel gruppo di artisti che mio fratello mi aveva passato qualche mese prima. Questo è il modo col quale sono venuto a contatto della dubstep. E posso assicurarti che capii subito che volevo fare questa cosa nel momento in cui mi recai al mio primo party dubstep.

A quel tempo tu l’avresti detto che la scena dubstep si sarebbe ingrandita talmente tanto da sostituire, in qualche modo, quella drum n bass, ponendosi come nuovo punto di riferimento?
Si.

Si? Cosa te le fece pensare?
Lo sentii. Voglio dire, quando sei lì e ti accorgi che il wobble lo SENTI proprio… Non è una cosa che posso spiegare a te o che posso spiegare a parole. So solo dirti che lo sentii e che anche Gal lo sentì. Sapevamo che questa “cosa” sarebbe un giorno diventata grande.

Cosa pensi quindi della scena dubstep nel 2011?
Beh, ok, non sapevamo che sarebbe diventata COSI’ grande! (ride) Sapevamo però che sarebbe diventata un bel genere. Quello che sta succedendo alla dusbstep di oggi è che fondamentalmente il vecchio suono non lo usa più nessuno. E questo era chiaro a noi anche all’inizio, dato che le persone non sono più abituate a sentirsi la musica su impianti hi-fi o con buone amplificazioni. Adesso tutti ascoltano musica sull’ipod o sul laptop, cosa che rende impossibile sentire bene tutte le frequenze.

Il cambiamento è avvenuto nel momento in cui la seconda generazione di giovani produttori ha iniziato ad utilizzare per i bassi le frequenze più alte, rendendo possibile il passaggio di musica dubstep alla radio o nelle pubblicità, commercializzandola inevitabilmente. Quindi sapevamo che sarebbe successo, ma non facciamo parte di questo nuovo “sound”: non è né il mio né quello di Gal. Credo però che sia positiva questa nuova ondata di dubstep: non è sicuramente il mio stile e non mi troverai ad ascoltarla, ma la ritengo comunque una cosa buona. Io sono più legato alle prime di cose di Coki, o Caspa, o anche Kode9.

Come ha funzionato la scrittura del disco dato che tu vivevi a Berlino e Gal a Londra?
Direi che abbiamo speso un sacco di soldi in telefono ed aerei! (ride) Non è sicuramente un buon piano finanziario, ma lo è stato per noi, perchè ci ha spronato a lavorare al meglio nei ristretti periodi di tempo in cui potevamo stare fianco a fianco. Entravamo in studio con grande determinazione, perchè non volevamo cazzeggiare, non potevamo permettercelo. Credo che, alla fine dei conti, questa distanza forzata sia stata un elemento positivo per il disco in sé.

Come siete arrivati a collaborare coi Foreign Beggars che cantano sul vostro singolo “Raising the bar”?
Siamo arrivati a loro tramite un amico in comune: il talent scout della Studio Rockers. “C’è la possibilità di collaborare con loro se volete”, ci disse. “Sono bravi e stanno andando forte.” Mi passò un po’ di cose loro e ricordo che quando le sentii dissi: “Yeeaahh! Questi sono gli mc che voglio sul mio album!” Così gli mandammo un paio di tracce e loro ce ne rimandarono indietro una (delle due) con le loro voci sopra. Allora noi ci abbiamo lavorato un po’ su, e gliel’abbiamo rimandata, e così, avanti e indietro, siamo arrivati a compimento dopo 2 o 3 versioni “intermedie” del pezzo. Tra l’altro posso assicurarti che sono anche belle persone. Ho conosciuto Pav, perchè mi ha chiamato quando sono venuti a suonare a Berlino, mentre Ebow l’ho conosciuto per strada a Londra. Ma questa è un’altra storia.

Come funziona il vostro live? Chi o cosa c’è sul palco?
Siamo fondamentalmente noi due. Io suono il trombone e mi occupo degli effetti. Non mixiamo, perchè non siamo dj, ma suoniamo le nostre tracce, suoniamo la nostra musica. Ovviamente il risultato sarà un po’ diverso da quello che senti sul cd, perchè non abbiamo con noi la sezione di fiati, a parte me al trombone, ma il risultato finale è bello. Funziona.

Quindi è tipo uno show rock con canzone, dopo canzone, dopo canzone?
E’ qualcosa che sta nel mezzo. A metà tra lo show rock ed un set dubstep.

Conosci altre band che fanno dubstep dal vivo come voi?
Si, ne conosco diverse, e la maggior parte le conosco di persona. Quasi tutti fanno set dubstep con le percussioni dal vivo, ma trovo queste cose comunque interessanti, decisamente.

Ok Gal, grazie del tempo e complimenti ancora per l’album, è davvero bello.
Grazie, ci vediamo venerdì!