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Intervista esclusiva: Parla Kaos One, il Don del rap italiano



Foto di Keeho Casati

Non credevo di riuscire ad intervistare Kaos One

Il personaggio, lo saprete, è sfuggente, poco amante di riflettori, media e giornalisti. Motivo per il quale lo amiamo e lo incensiamo, nonostante in ogni disco lui continui a ripetere che non si sente il maestro di nessuno. L’occasione, chiaramente, è l’uscita di “Post Scripta”, suo ultimo disco in ordine di tempo e, a quanto pare, anche in carriera. Da più parti infatti, il buon Marco Fiorito, questo il nome di Kaos all’anagrafe, ha dichiarato che questo sarà il suo ultimo album.

Poco è dato sapere sul suo futuro artistico, se lo troveremo solo in veste di dj/beatmaker (magari in compagnia di Deda sotto il nome Bbeat?) oppure se scomparirà, magari parzialmente, dalle scene. Il disco ormai è fuori da un paio di mesi, essendo uscito lo scorso 11 novembre (11/11/11, data non casuale, la stessa scelta da Mastino per l’uscita del suo “Ipnosi Collettiva”), quindi immagino che lo avrete sentito e che vi sarete già fatti un opinione in merito.

Lo stile di Kaos è inconfondibile, vuoi per quel suo tono di voce unico, rabbioso e sofferente al tempo stesso, vuoi per la perfezione delle metriche e degli incastri, da sempre vero e proprio marchio di fabbrica di questo Mc. Il percorso artistico di Kaos comincia negli anni ’80, nella formazione dei Radical Stuff, storico ensemble dal quale fuoriuscirono personaggi come Dj Skizo, Soul Boy, Top Cat, Sean, Dj Gruff, Dre Love. Un piccolo incredibile nucleo artistico che è servito da vere e proprie fondamenta per tanto, davvero tanto, di quello che l’hip hop italiano andrà a produrre nel decennio successivo.

Ed è proprio negli anni ’90 che Kaos darà alla luce il suo primo disco solista, “Fastidio”, vero e proprio punto di riferimento per tutto il genere, forse, paradossalmente, oggi più di prima. Seguono una miriade di collaborazioni importanti, da “Melma e Merda” con Sean e Deda a “Neo Ex” con Gopher, dalle partecipazioni sui dischi di Neffa e Fritz da Cat all’interessante progetto “Gli Originali” con Speaker Dee Mo ed il maestro Franco Micalizzi.

Oltre, ovviamente, ad altri tre dischi solisti, con “Post Scripta” a tirare le fila di tutta una carriera. Carriera che ha visto Kaos impegnato in tutte e quattro le discipline della doppia h con risultati alterni, come ammesso dallo stesso Mc in questa intervista. Il botta e risposta che segue è figlio di uno scambio epistolare: un particolare ringraziamento a Dj Craim, che ha messo il suo zampino al momento giusto rendendo possibile questa intervista.

Cominciamo dal disco. Che arco di tempo copre della tua vita? Quando hai iniziato a lavorarci? Quali erano le tue aspettative su questo disco quando hai iniziato a pensarlo? E quali sono quelle di oggi, ora che il disco è fuori? La copertina, se non sbaglio, è una tavoletta ouija, quella per le sedute spiritiche. Come mai questa immagine?
Il disco è stato concepito durante la fase finale del lavoro precedente. In quel periodo, avevo già la struttura de “Le 2 metà” a livello di liriche, ma non trovavo una base, ed ero stremato dalla pressione per l’uscita di “Karma”, per cui la parcheggiai in attesa di tempi più favorevoli. Dopo ho ricominciato a cercare beat e ho realizzato che avrei voluto costruire qualcosa intorno a quel pezzo, e siccome non riuscivo più molto a guardare in avanti, ho cominciato a guardarmi indietro.

Di aspettative non ne ho mai avute per nessun lavoro, ho sempre solo sperato che piacessero. Questo lavoro non fa differenza. ma non nascondo che i vari sold out registrati facciano piacere. L’immagine della tavoletta oujia è venuta da me, serve per parlare con i defunti.

Hai dichiarato in più interviste che questo sarà il tuo ultimo disco. Sarà anche il tuo ultimo tour? O ti vedremo ancora sui palchi?
Non lo so, fino a che mi chiameranno e fino a che avrò ancore le forze continuerò a suonare in giro. Ma dubito fortemente di poter fare un altro disco solista.

Cosa c’è nel tuo futuro? E non mi riferisco necessariamente alla musica.
Il futuro è imperscrutabile per tutti, senza eccezioni. Ho delle idee più che dei progetti ma è prematuro parlarne.

Cosa ricordi dell’esperienza coi Radical Stuff? Cosa ti è rimasto? Oggi l’hip hop è ovunque, quali erano le condizioni di un bboy all’epoca? Chi erano i tuoi modelli di riferimento?
Molti ricordi si sono inevitabilmente persi dopo tanto tempo, altri li ho rimossi io. Ti posso dire che in quel periodo era molto più genuino l’ambiente, anche se forse un pò elitario. Del resto per la stragrande maggioranza delle persone, noi eravamo quelli col cappellino storto che gridavano “è qui la feFta?”
Insomma abbiamo dovuto aspettare 20 anni per far crollare certi pregiudizi… Inoltre ai tempi c’era una sorta di competizione positiva che stimolava la crescita. I miei modelli di riferimento erano intorno a me, e non è stato semplice confrontarmici: per anni mi sono ritagliato il mio spazio in un gruppo dove oggettivamente ero il meno talentuoso.

Ti sei cimentato in tutte le discipline della doppia h, però il rap è quella che, in qualche modo, ti si è “attaccata” di più. Come mai? Perchè questa e non le altre?
Lasciamo perdere il breaking, quella davvero non era roba per me. Ho praticato il writing per molto tempo, ma nonostante la passione, non avevo abbastanza talento per poter essere qualcuno in quel campo. Ma anche nel rap, prima di poter riuscire ad essere soddisfatto di qualcosa, ho dovuto consumare risme e risme di fogli. Amo anche il djing e le produzioni, tuttavia è la scrittura ad avere assorbito finora gran parte del mio tempo.

Ho notato che sei tornato ad Arkham. C’era del lavoro non finito?
Non sono mai andato via da Arkham, il lavoro è appunto cercare di andarsene.

Tra l’altro, sono tornati anche i sample della Vanoni.
Ci sono sempre stati, in tutti i miei lavori. Lei è unica, è veramente troppo soul.

A proposito di Arkham: leggi sempre fumetti? Ci consigli qualcosa?
Non tanto. Molto meno di prima, e non ne colleziono più. Sono consapevole che suona un pò ridicola come cosa, ma seguo gli scan di Naruto da un pò di tempo… è un viaggione.

Se non vado errato, “Le due metà” è il primo video della tua carriera. E’ cambiato il tuo rapporto con questo media/formato? Come?
No, continuo a non avere simpatia per i video clip, ma le cose sono cambiate da una decina d’anni a questa parte, oggi la musica si “ascolta” su Youtube. Inoltre se voglio che i promoter che mi chiamano a suonare, e che spesso sono anche amici, abbiano dei riscontri positivi non posso ignorare la cosa. E in effetti i numerosi soldout ai live confermano questa tesi.

Ci sono moltissimi lavori nella tua carriera, dagli esordi coi Radical Stuff, passando per i tuoi quattro dischi da solista fino ad arrivare alla collaborazioni per i progetti “Neo Ex” e “Melma e Merda”. Guardandoti indietro, a quale di questi sei più legato? Perchè?
Forse a quest’ultimo. In effetti non saprei dirti con precisione, ognuno è una foto che ritrae un momento diverso della mia vita.

Cosa pensi dell’hip hop in Italia, oggi? Probabilmente non c’è mai stato tanto rap in giro, eppure i due mondi, quello mainstream e quello underground, sembrano sempre più lontani ed inconciliabili. Che idea ti sei fatto della cosa?
Sono felice che il rap sia anche mainstream, io ho vissuto l’epoca buia dopo la prima esplosione. E sono contento che tante persone oggi riescano a vivere di questa musica, cosa veramente difficile in Italia.

Infine vorrei che tu commentassi due frasi che ho estrapolato da due tue differenti interviste trovate sul tubo, la prima recente e la seconda decisamente più vecchia.

“Essere coerenti a volte vuol dire soffrire.”

“… se ci credi in questa roba (il rap, l’hip hop), avrai qualcosa indietro. Se invece questa cosa la usi, avrai solo dei gran calci nel culo, ed io sarò il primo della lista.”

La prima riguarda le rinunce che si devono a volte affrontare per poter seguire le proprie ambizioni. La seconda è una spacconata di quando ero pischello, anche abbastanza imbarazzante, aggiungerei.

Ciao Marco, grazie per la disponibilità.