“Il product placement”, recita la definizione di Wikipedia, “è lo strumento attraverso il quale si pianifica e si posiziona un marchio all’interno delle scene di un prodotto cinematografico a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte dell’azienda che viene pubblicizzata”. L’artista californiano Alex Gross ha utilizzato questo espediente narrativo nella sua terza mostra personale, che ha aperto di recente presso la Jonathan Levine Gallery di New York, esponendo lavori che privilegiano un taglio di denuncia nei confronti della società dei consumi in cui viviamo, associato ad un trattamento espressivo tipico degli artisti provenienti dalla corrente del Pop Surrealism (per i neofiti: pop come i colori, vividi, brillanti e nitidi come le forme, surreali a livello di luci, di forte matrice iconica e con composizione onirica).
In paesaggi di natura urbana, figure per lo più femminili e dai tratti spesso orientaleggianti (è fortissimo il legame di Alex con il Giappone, luogo nel quale parte della sua formazione artistica è avvenuta, e da cui ha nel tempo preso largamente spunto per arricchire di toni esotici le sue tele) si aggirano facendo bella mostra dei marchi più celebri su oggetti di uso comune. Tali oggetti diventano i totem di un universo accattivante e cattivo allo stesso tempo.
Emblematica è l’immagine di “Original Sin”, dove un varano antropomorfo consegna una Coca Cola peccaminosa alla fanciulla di turno, che ovviamente indossa l’ultima borsetta da fashionista incallita (con una doppia citazione: la Louis Vuitton è sia un simbolo della moda che un richiamo alla serie di borse realizzate dall’artista giapponese Murakami).
Tra le parole chiavi del linguaggio visivo di Alex Gross quella che ricorre con più insistenza è probabilmente “discrepanza” (peraltro titolo di uno dei suoi più bei libri, edito da Ginko Press nel 2010). Mago del contrasto, attento osservatore della realtà nelle sue forme più contraddittorie (motivo ricorrente è ad esempio la bellezza che si sposa con elementi di bruttura come la morte, in “T-Mobile”), Gross si distingue per la forza evocativa delle sue immagini e l’incisività delle tematiche che sceglie di trattare (il ruolo ambiguo della moda ad esempio viene esplorato con estrema ironia).
Altra costante della sua poetica è il marcato esotismo che si deduce non solo dall’utilizzo di protagoniste con gli occhi a mandorla, ma anche dall’introduzione di scritte di ogni idioma, dal cinese al giapponese, passando per l’arabo e l’ebraico, oltre ovviamente all’inglese. L’elemento verbale si fonde con l’insieme multiforme delle figure in estrema armonia, come se si trattasse di cartelloni pubblicitari o di screenshot da commercial televisivi, amplificando l’effetto straniante del tutto.
Oltre alla serie di 20 dipinti a olio su tele di grande misura, che rapiscono lo spettatore per la loro imponenza, 98 piccoli dipinti di tecnica mista sono stati realizzati a partire da antiche fotografie risalenti alla fine del 1800-inizi 1900. Da una base realistica come quella fotografica, Alex Gross ha ricavato dei nuovi personaggi da fumetto, characters di film e cultura pop, che affascinano per l’estrema ironia con cui vengono modificati fino a diventare parodie caricaturali grazie solo all’aggiunta di alcuni dettagli descrittivi.