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Mobb Deep — “Infinite”: un commiato tra la nostalgia e il presente



C’è una verità semplice e dura da digerire quando si parla di “Infinite“, il nono e — molto probabilmente — ultimo album dei Mobb Deep uscito il 10 ottobre 2025: è un disco costruito per onorare una leggenda senza trasformarla in reliquia.

Havoc, rimasto l’unico membro vivente del duo, ha preso sulle sue spalle il compito di cucire insieme vent’anni di materiale vocale inedito di Prodigy e di produrre (con il contributo sostanziale e riconoscibile di The Alchemist) un lavoro che suona deliberatamente familiare, ma non scolpito nel marmo del passato.  

Mobb Deep Infinite – cover album

Le produzioni: l’ossatura sonora tra fedeltà e scelte contemporanee

L’elemento più impressionante di Infinite è la coerenza produttiva. Havoc riafferma il marchio sonoro che ha reso i Mobb Deep iconici: bassi cupi, loop spogli ma ossessivi, percussioni essenziali che lasciano spazio alle voci. Quello che cambia è la cura della stratificazione — campionamenti meno grezzi in certi passaggi, qualche arrangiamento orchestrale sottile e micro-elementi moderni che non sviliscono la durezza originaria ma la rendono più “ascoltabile” al pubblico di oggi.

Il lavoro di The Alchemist, presente come co-produttore ed elegante contrappunto alle tessiture di Havoc, aggiunge un tocco di polaroid nostalgica che bilancia il suono: meno revival stucchevole, più continuità autoriale.  

Havoc & Prodigy assieme a The Alchemist

Questo non vuole dire che il disco sia perfetto sul piano sonoro. In alcuni momenti emergono scelte che puntano a un appeal più ampio — ritornelli costruiti per la radio, inserimenti di tastiere e ambientazioni che illuminano l’ombra — e questo può scontentare i puristi che chiedono un remake di un monolite come “The Infamous“.

Tuttavia, il progetto dimostra una nettissima attenzione al dettaglio: Havoc ha ripensato arrangiamenti, timbri e dinamiche delle tracce per consegnare un quadro compiuto.

I producer come narratori: Havoc e The Alchemist in primo piano

Qui il ruolo del produttore va oltre il beatmaking: diventa regista emotivo. Havoc è l’architetto — tiene insieme i pezzi vocali di Prodigy, decide dove lasciare il vuoto e dove costruire densità — mentre The Alchemist funge da consigliere sonoro, inserendo i suoi contrappunti senza rubare la scena.

L’effetto è un album che parla delle stesse ossessioni (strada, città, tradimenti, mortalità) ma con un timbro che riconosce il passare del tempo. Le scelte di produzione sono spesso quelle che salvano progetti postumi, che sono sempre molto complicati e delicati da gestire: qui Havoc dimostra di aver compreso che non si trattava di “resuscitare” Prodigy, ma di farlo dialogare con il presente.  

Featuring e collaborazioni: amici, testimoni, il valore aggiunto

Gli ospiti servono più a convalidare che a rubare la scena: Nas, Raekwon, Ghostface, Clipse e qualche voce giovane (tra cui nomi come H.E.R. o Jorja Smith secondo i crediti) appaiono come testimoni, non come sostituti.

Ciò che colpisce è la saggezza nell’uso dei featuring: posti in punti strategici del disco per amplificare temi (fedeltà, reputazione, eredità) e per creare momenti di scambio tra generazioni.

Il risultato è una rete di collaborazioni che aggiunge spessore storico e culturale, evitando l’effetto “compilation” che spesso affligge uscite postume.  

La presenza postuma di Prodigy: etica, voce, verità

Affrontare un disco in cui il compagno è fisicamente assente è sempre terreno minato. In Infinite le tracce vocali di Prodigy sono distribuite con cura e mantengono quel tono gelido, quasi profetico, che gli era caratteristico.

Non c’è una sensazione di sfruttamento gratuito: Havoc e i producer sembrano aver lavorato per preservare l’integrità delle linee vocali e, laddove necessario, inserirle in contesti che permettano una lettura coerente del messaggio.

Questo approccio è cruciale: il rischio nelle release postume è trasformare voce e memoria in memorabilia; qui, per la maggior parte del tempo, Prodigy suona come un interlocutore autentico. Rimangono però zone opache — alcune linee vocali hanno l’eco di assemblaggi, e l’ascoltatore attento sentirà i punti in cui è stata fatta ricostruzione editoriale.  

Impatto culturale: perché i Mobb Deep continuano a contare

Parlare dei Mobb Deep non è solo parlare di due rapper di Queensbridge; significa parlare di un’estetica che ha riscritto la grammatica del realismo urbano nell’Hip Hop.

Dai loop minacciosi di Shook Ones alle immagini di strada tratte con chirurgica asciuttezza, i Mobb Deep hanno imposto una poetica della sopravvivenza che ha influenzato generazioni: producer, MC, cinematografia urbana e persino moda.

Infinite arriva come un ulteriore tassello di quella narrazione: non re-inventa il genere, ma ricorda che la loro cifra stilistica resta un modello per chi vuole raccontare la durezza senza retorica. L’eco del duo è visibile — e riconosciuta dagli stessi colleghi — nella partecipazione e nel tributo che ha accompagnato l’uscita del disco.  

Pregi e limiti: un giudizio critico

Da fan sfegatato quale sono, si accetta la malinconia del commiato, ma la critica resta necessaria. Infinite è spesso toccante, con momenti che ricordano i migliori Mobb Deep; è anche un lavoro che a tratti sceglie la via della modernizzazione, a rischio di attenuare la rudezza originaria.

I punti di forza: produzione curata, gestione rispettosa delle parti di Prodigy, featuring misurati. I limiti: qualche scelta troppo “morbida” per i puristi, sporadiche tracce che sembrano progettate con un occhio al mercato contemporaneo, e l’inevitabile sensazione che il progetto avrebbe potuto essere ancora più potente se fosse stato costruito quando entrambi i membri potevano interagire dal vivo.  

Conclusione

Infinite non è un simulacro del passato né un funerale in vinile: è un commiato dialogante, un lavoro che tenta con dignità di chiudere un cerchio (o meglio, una “lemniscata”).

Per chi ha vissuto i Mobb Deep come colonna sonora della propria formazione hip-hop, l’album offre momenti di autentica emozione e qualche nuova traccia che entrerà nelle playlist personali.

Per chi li scopre ora, è un’indicazione chiara del perché la loro eredità continui a essere studiata e onorata. Non raggiunge l’apice immortale di The Infamous (e quale disco lo fa?), ma non è quello il metro di valutazione più giusto: Infinite è il racconto finale di due voci che hanno definito un’epoca — e che, anche in assenza, continuano a parlare.  

Bonus: analisi Track by track

1. Against The World 

Apertura classica: beat scuro, basso pulsante e spazio ampio per la voce. Havoc piazza un tappeto che richiama i Mobb più duri; Prodigy entra con versi che stabiliscono tono e tema (isolamento, sopravvivenza).

Come primo brano funziona da bussola: non cerca vie pop, preferisce ristabilire le coordinate del duo. Punto debole: il mix a volte lascia Prodigy un po’ “incastonato” rispetto alla strumentale, come se la costruzione fosse stata adattata successivamente.  

2. Gunfire

Beat serrato, con l’impronta timbrica di Alchemist (drumbreak tagliente, loop minimale). Il pezzo è un colpo secco: poco spazio alle melodie, molto al corpo del suono.

Prodigy appare in forma, strofe brevi e incisive; Havoc controlla l’arrangiamento. Forse il brano più “old-school” dell’album.  

3. Easy Bruh

Uno dei pezzi che più gioca con dinamiche moderne. Il flow di Prodigy è ironicamente scanzonato in alcuni passaggi, con punchline che rompono la tensione.

Produzione solida ma tende a scivolare verso una struttura da singolo radiofonico — non necessariamente un difetto, ma una scelta estetica che può dividere.  

4. Look At Me (ft. Clipse)

Featuring scelto con criterio: i Clipse introducono un contrasto di stile — loro più funk sull’hook, Mobb Deep più cupi. Brano che punta sullo scambio generazionale e sul ritornello contagioso.

Havoc usa qui arrangiamenti più aperti per far respirare l’interazione. È uno dei momenti più “socialmente leggibili” del disco.

5. The M. The O. The B. The B. (ft. Big Noyd)

Boccata d’aria a tinte QB: loop sporco, Big Noyd come collante della scena Queensbridge. Qui la tensione narrativa è alta, il brano rimanda direttamente al canovaccio dei Mobb più oscuri e al suono più tipico del sottogenere rap di Queensbridge.

Uno dei pezzi che convince di più in chiave “attendibilità storica”.  

6. Down For You (ft. Nas & Jorja Smith)

Scelta coraggiosa: Nas porta in dote la tradizione del QB, Jorja Smith porta il lato melodico R&B. Produzione più levigata, con accenti orchestrali; la struttura ricorda canzoni “per il pubblico ampio”.

Buona idea sul piano emotivo, sfido i fan storici a trattenere una lacrimuccia quando su un beat come questo entra Prodigy.

7. Taj Mahal 

Un piccolo gioiello di produzione: Alchemist e Havoc trovano un mix tra cinematicità e claustrofobia.

Testo che parla di ricchezza, gambling e vecchi fantasmi; beat che cresce senza esplodere. Alternanza intelligente tra ritmo e atmosfera.  

8. Mr. Magik

Dal titolo potrebbe sembrare un pezzo ironico e scanzonato. E invece no. È una Traccia introspettiva e notturna.

Qui la voce di Prodigy assume il ruolo del narratore di ombre: fraseggi concentrati, immagini nette. La produzione lascia ampio spazio al fraseggio vocale, scelta che valorizza la presenza postuma.  

9. Score Points 

Ritmo incalzante, percussion-driven. Alchemist in evidenza su un beat che sembra costruito per i versi secchi di Prodigy.

Brano pensato per mostrare tecnica e durezza: efficace come esercizio di stile.  

10. My Era 

Dichiarazione di intenti: beat che rimanda all’epoca d’oro ma con lucidità contemporanea.

Il brano gioca sul confronto tra passato e presente, mettendo in primo piano la coesione storica del duo. Uno dei più riusciti sul piano tematico.  

11. Pour The Henny (ft. Nas)

Un pezzo più celebrativo e “festaiolo” rispetto alla media dell’album. Nas allarga lo spettro, Havoc usa elementi più luminosi.

Funziona come pausa di respiro ma a tratti stona con il resto dell’atmosfera generale.  

12. Clear Black Nights (ft. Raekwon & Ghostface Killah)

Momentone nostalgico: i due Wu-Tang portano il loro storytelling da strada e donano al brano un’aura da meeting leggendario.

Prodigy risponde con versi gravi; la produzione è calibrata per far convivere tante personalità senza sovrapposizioni. Una delle collaborazioni più organiche del disco.  

13. Discontinued

Traccia d’atmosfera, quasi interludio: suono minimale, senso di sospensione.

Serve a dare respiro prima delle due chiusure; prova che Havoc ha pensato la sequenza con cura.  

14. Love The Way (Down For You Part 2) (ft. Nas & H.E.R.)

Ritorno sul tema melodico con H.E.R. che aggiunge un contrappunto soffice.

È la parte dell’album più incline al crossover R&B/pop; ha l’effetto di smussare i contorni ma offre risonanza emotiva.  

15. We The Real Thing 

Chiusura pensata per chiudere il cerchio: beat che richiama i temi iniziali, hook corale e senso di eredità.

Prodigy lascia l’impressione di avere l’ultima parola, e Havoc corona il progetto con un arrangiamento che cerca di essere solenne senza scadere nel retorico. Funziona come commiato.