Come forse già saprete questa rubrica parla di canzoni per collegarsi a eventi di attualità o a particolari ricorrenze.
Nelle scorse puntate vi ho parlato dei Joy Division nel momento in cui Peter Hook giungeva a Firenze per riproporre i brani di Unknown Pleasures, la settimana successiva vi ho raccontato la storia di un grande campione dell’automobilismo nel giorno dell’anniversario delle sua nascita, sabato scorso ho proseguito proponendovi una ballata di Jimi Hendrix, altra scusa per introdurvi la proiezione del documentario Hendrix 70.
Questa settimana vi parlo di politica. Argomento di strettissima attualità.
Per tanti motivi ho sempre cercato di non lasciarmi trascinare dai facili entusiasmi che derivano dalla “discesa in campo” di nuovi leader più o meno carismatici.
La nostra sarà anche la generazione perduta, ma è anche quella che è più difficile portare alle urne.
La nostra opinione non si forma soltanto guardando la televisione o leggendo i giornali. Il nostro pensiero politico si forma attraverso la rete, mediante i social media, non solo attraverso il confronto più o meno reale con le persone.
Perchè su internet, prima o poi, viene tutto a galla… forse è per quello che siamo così disillusi.
In molti di voi sanno quanto sia difficile crearsi un’opinione politica oggigiorno. Anche se presumi di appartenere ad uno specifico schieramento non c’è mai modo di rimanere pienamente soddisfatti da ciò che afferma un determinato leader.
Il tarlo che ci divora è sempre il solito, è una convinzione difficile da scalzare con la quale ci siamo abituati a convivere, ovvero quella di andare a votare per il “meno peggio”.
La frustrazione più grande che nasce da questo pensiero è quella di aver fatto poco o nulla per cambiare questo mondo, l’impressione è quella di aver sfiorato solo per qualche giorno qualcosa che in realtà non ha nulla a che vedere con l’“essere” politici.
E allora ecco che le parole del mitico Giorgio Gaber, massimo esponente del teatro canzone, ci riportano alla realtà: “come si fa a tacciare di sterile menefreghismo uno che non vota? Potrebbe essere un rifiuto forte e cosciente di QUESTA politica. No, perché non è mica facile non andare a votare. Soprattutto non è bello farlo così, a cuor leggero, o addirittura farsene un vanto. C’è dentro il disagio di non appartenere più a niente, di essere diventati totalmente impotenti. C’è dentro il dolore di essere diventati così poveri di ideali, senza più uno slancio, un sogno, una proposta, una fede. È come una specie di resa. Ma al di là di chi vota e di chi non vota, al di là dell’intervento, al di là del fare o non fare politica, l’importante sarebbe continuare a “essere” politici. Perché in ogni parola, in ogni gesto, in qualsiasi azione normale, in qualsiasi momento della nostra vita, ognuno di noi ha la possibilità di esprimere il suo pensiero di uomo e soprattutto di uomo che vuol vivere con gli uomini. E questo non è un diritto. È un dovere”.
Ci manchi “Mister G”