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MUSIC

Il suono della Sicilia occidentale: Barile&Gheesa



Tre o quattro caffè, una chiacchierata, e una cena di carne. Ecco la mia giornata trascorsa a Calatafimi, un paese in provincia di Trapani, nonché casa e studio di registrazione di Gheesa, il beatmaker siciliano che insieme a Barile, rapper d’appartenenza trapanese, ha sviluppato questo sorprendente album.

i ragazzi sono stati talmente gentili da avermi fatto ascoltare in esclusiva molti dei pezzi nell studio in cui hanno trascorso molti momenti negli ultimi 10 mesi, ovvero il tempo necessario alla realizzazione del disco. A farci compagnia c’era Pioneer, la meticcia di Gheesa, anche lei, probabilmente, attratta dalle piacevoli sonorità.

Il duo rap siciliano, reduce dalla vittoria del contest Unlimited Struggle di Johnny Marsiglia, ha deciso di farci sentire quanto vale, producendo un disco completo e affascinante in uscita nei prossimi giorni. Giudicherete voi!!!

Intanto beccatevi il teaser, “Yowhatup” uscito oggi!

 

Regia e Montaggio: Federico Mauro.

 

Sentiamo come Barile&Gheesa raccontano il loro nuovissimo lavoro in esclusiva per Gold.

 

 

Ciao picciò, prima di tutto come va?

Barile: Ma, bene siamo impegnatissimi per questo disco che sta per uscire, ma per il resto tutto bene.

Innanzitutto diteci un po’ di voi. Chi sono Barile e Gheesa?

Gheesa: Comincia con Barile, voglio vedere cosa ti dice (ride).

Barile: io sono nell’ambiente hip hop da più di dieci anni. Su per giù ho sempre rappato, fra il 2005 e il 2007 mi sono un po’ dedicato alla dancehall, poi però sono di nuovo tornato al rap e da un po’ faccio parte della Zoo Famiglia, una crew trapanese, amici di una vita.

Gheesa: Io, ho iniziato forse ad ascoltare hip hop nel ’96, ’97, ma comunque, più o meno contemporaneamente, ho cominciato a farlo. Le prime volte ho usato una tastierina scrausissima che però registrava loop, e quindi ho cominciato a sperimentare. Poi, sai come funziona, ho cominciato a conoscere gente, a saperne sempre più. Poi già nelle nostre zone alla fine degli anni ’90 c’erano un po’ di persone che facevano hip hop: c’erano Stokka & MadBuddy, Aspano, Igor, Guaio e tanti altri, sia a Trapani che a Palermo.

Com’è che è nato questo progetto, come avete deciso di fare un disco insieme?

Barile: Intanto io e lui ci conosciamo da un bordello di tempo, più o meno dal 2003.

Gheesa: Si, infatti. Al tempo io ho fatto dei beat per Igor di Trapani e, poi, non so come, uno di questi beat è finito a lui e ci ha rappato sopra il pezzo “Capo”, un pezzo che è diventato nel tempo una pietra miliare dell’hip hop per lo meno della provincia di Trapani. Prima di pensare di fare un disco abbiamo partecipato insieme al video “U’ Mammadrau” insieme a Viojahman e Marco Fato alla regia, un progetto creato per aiutare i lavoratori dei cantieri navali trapanesi lasciati a casa senza lavoro dopo anni e anni di servizio. Allora il pezzo non era uscito male e allora abbiamo deciso di fare questo disco. In più abbiamo partecipato entrambi al contest Unlimited Struggle di Johnny Marsiglia. Lui ha vinto; io diciamo che non ho vinto, ma ho vinto “moralmente” (ride), mi rissero: bravo!!!, insomma si sono complimentati con me nonostante non avessi vinto. E poi comunque prima di fare questo contest, Barile era venuto da me e mi ha detto: se vinci tu facciamo il disco e se vinco io lo facciamo pure. E quindi, alla fine, stiamo facendo il disco!

A me il disco, ve l’ho già detto, è piaciuto molto. Ho notato una tendenza molto particolare nella creazione delle basi. Ce ne volete parlare?

Barile: Il nostro obiettivo principale è stato sempre quello di dare sonorità senza sputtanarci, per questo abbiamo cercato di creare brani melodici, con l’accompagnamento di rime decisamente più grezze. Ma alla fine l’album è fondamentalmente underground.

Gheesa: beat del genere, anche se particolari, sono già stati sperimentati più volte nel panorama rap italiano, anche se, come sappiamo, il mainstream ha trasformato un po’ tutto l’hip hop negli ultimi tempi. Siamo stati molto attenti alle basi, ci abbiamo lavorato tantissimo, riuscendo a creare atmosfere molto differenti fra loro, con l’intento di rifinire però un’armonia generale. La nostra idea, comunque, era quella di fare un disco che potesse essere ascoltato da tutti, che piaccia non soltanto ai rappusi. E i nostri gusti musicali comuni hanno aiutato molto alla realizzazione di un progetto del genere.

Gusti comuni…tipo?

Barile: Tipo la scuola di Detroit per esempio: Slum Village, Black Mirk. J Dilla rimane il nostro guru. Questi i principali, se dovessi dirti tutti gli artisti che ascoltiamo entrambi…

Anche dei testi, che mi dite?

Barile: Nel nostro progetto abbiamo cercato di dare un senso diverso al rap, cercando di tenerci alla larga dalle puttane, dalle collane, dai macchinoni e da tutti i fronzoli che la tv sponsorizza. Ho cercato di scrivere testi che non parlassero di minchiate, come se ne sentono tanti ultimamente nell’hip hop. Infatti molto spesso ascolto artisti decisamente lontani dal rap, come i Pearl Jam e altri del panorama rock internazionale, capaci di scrivere testi di un’intensità straordinaria.

Nel disco ho sentito diverse voci familiari del panorama hip hop siciliano…

Barile: Il disco è tutto siciliano. Come dj ci sono oltre a Gheesa, Dj Delta di Alcamo, sempre in provincia di Trapani e Dj Collasso di Messina.

Gheesa: Collasso è stato pure, non lo so se già lo sai, alla finale mondiale del dmc. Entrambi i Djs hanno una certa storia musicale alle spalle.

In Sicilia sono stati fra i primi a fare hip hop, no?

Gheesa: Di un certo livello si, perché loro hanno cominciato intorno alla metà degli anni ’90. E comunque a quei tempi ce n’erano Djs siciliani che spaccavano il culo, non solo loro.

E come mc’s? Chi è che ha contribuito alla creazione di questo disco?

E tutta gente che conosciamo. Stokka & Madbuddy per esempio hanno contribuito notevolmente alla realizzazione del disco: Stokka ha fatto solo il mastering, mentre con Buddy abbiamo fatto anche un pezzo insieme. E poi ancora Johnny Marsiglia, Br1 e Marco Lizzo, True piano, e quasi tutta la Zoo Famiglia al completo: Vjojaman, 8leone e io.

E invece, per curiosità, a parte con Dj Collasso, avete mai avuto rapporti con la “East Side” siciliana, che so, collaborazioni con i ragazzi di Catania, Siracusa ecc.

Barile: Non tantissimo.

Gheesa: Io ne conosco tanti, ma per la verità, ho collaborato con pochi, siamo lontani (ride).

Come vedete l’evoluzione dell’hip hop in Sicilia, soprattutto in relazione con la musica che producono i picciotti più giovani di voi?

Barile: Secondo me qui in Sicilia ci sono molti ragazzi che si sono avvicinati da poco ma che hanno già grandi potenzialità. Ho notato che a Milano, ad esempio, rispetto a Palermo, i ragazzini si ispirano, in maniera probabilmente molto frettolosa, al mainstream americano e ultimamente anche a quello italiano, producendo continuamente pezzi e video. Ma purtroppo quando il lavoro è poco e approssimativo, si vede e si sente. Al nord, in molti casi, soprattutto nell’ultimo periodo, l’hip hop ha dato i soldi, mentre a noi ha dato l’unione, accrescendo le collaborazioni per esempio fra noi e gli altri artisti della provincia di Trapani o di Palermo. Adesso la “West Coast” è quasi del tutta unita in un’unica grande famiglia, concentrata nel fare musica e farla bene, soprattutto capace di trasmettere qualcosa. Non se ne può più di tutti sti dissing, che, a mio parere, rappresentano solo una mancanza di fantasia.

Gheesa: io conosco molti ragazzi con grandi capacità, fortissimi, ad esempio Crono di Mazara del Vallo, anche Kero di Trapani, è un bravissimo esecutore. Molti ragazzi di Enna, di Agrigento, molti sono andati via dalla Sicilia è hanno cominciato anche a produrre. Altri, rimasti qui, fortissimi anche nel freestyle, hanno abbandonato completamente la produzione, mentre altri ancora non l’hanno nemmeno mai iniziata. E questo è un problema. Alla fine l’arte è anche sapersi misurare. Mi viene in mente una cosa, mia madre mi diceva sempre: “Cerca di nescere cu chiddri chiù spetti i tia” (“cerca di uscire con quelli più intelligenti di te”). Cioè bisogna sempre cercare di migliorarsi, come si faceva un tempo, quel tempo in cui se eri scarso, non suonavi in giro e l’evoluzione era essenziale alla tua figura. Deve essere importante raggiungere il momento in cui quello più forte di te ti fa i complimenti. Cioè il djing e le altre arti dell’hip hop, si chiamano discipline non a caso, bisogna impegnarsi e lavorare duro se si vuole le cose ben fatte.

E secondo te oggi non è presente questa volontà nelle classi più giovani?

Gheesa: No, in alcuni casi la volontà d’innovare si sente molto, sfociando in produzioni davvero interessanti. Sto molto dietro al filone Abstract, Wonky e alle sonorità un po’ più elettroniche e vedo che molti ragazzini se ne stanno sbattendo altamente degli schemi e hanno cominciato a sviluppare cose assurde a riguardo. È l’approccio mentale che cambia molto; ovvero, per come la vedo io, in mezzo a tutte questa miriade di sonorità, che sono ormai a disposizione di tutti, alcuni cercano di differenziarsi notevolmente dalla massa, da ciò che si sente comunemente, per creare qualcosa del tutto nuovo, mescolando i tantissimi stili che si sentono ormai in giro. La voglia di migliorarsi e di fare qualcosa soltanto per l’amore per la musica, a mio parere sta ritornando, e si nota da questi nuovi e ambiziosi esperimenti.

Barile: in generale, soprattutto negli Stati Uniti, si sente un po’ il ritorno della Golden Ages e degli anni ’90, sia a livello estetico che contenutistico, e speriamo che questo si rifletta anche nell’approccio in generale all’hip hop. Il rap una volta era di nicchia, adesso è quasi una cosa di tutti, e sicuramente questo aiuta alla qualità della produzione hip hop, perché adesso c’è tantissima gente che fa rap e quindi devi essere più bravo, e sempre più bravo.

Ho visto che avete cominciato a fare anche diversi video, oltre al teaser che esce oggi. Quanto è importante il video making nel panorama hip hop italiano?

Gheesa: tantissimo, i video sono importantissimi. Io credo che l’arte, e dunque la musica, in quanto tale è frutto di un lavoro, e se una cosa è studiata e sudata, si nota subito. Il lavoro che fanno alcuni videomaking italiani è veramente intenso, al di là dei gusti, bisogna dargliene credito.

Barile: La musica è cambiata totalmente, e molti artisti ottengono successo per i loro video, che, se fatto bene, guadagna migliaia di visualizzazioni su youtube, ed è normale che poi, anche se in misura minore, il disco verrà ascoltato, e questo solo grazie appunto al videomaking in quei casi. Oggi la musica non si deve solo ascoltare, ma anche vedere. Machete Crew per esempio, ha fatto un gran lavoro a proposito.

Secondo fino a questo momento “Riad” è il vostro disco più rappresentativo?

Barile: Per me sicuramente.

Gheesa: io spero che il mio disco più rappresentativo sia il prossimo, e il prossimo ancora. Ma devo dire che questo è un prodotto figo, che può piacere…speriamo!

Un’ultima cosa, come mai la scelta di “Riad”? Che significato ha questo termine?

(Controversie interne in diretta…Gheesa: «Quindi abbiamo deciso Barì? Scegliamo “Riad”?» Barile: «Aspè, non lo so, che dici tu? Perché se lo scrive lui, deve essere per forza quello». Gheesa: «Vabbò va, a me piace!». Barile: «Va bene scegliamo “Riad”»).

Barile: Riad non è il nome di qualche traccia in particolare, ma è un termine che indica una costruzione araba, una sorta di “palazzina” dove viveva l’intera famiglia al completo, e guarda caso, anche se non è rotonda, ricorda molto un disco perché ha un buco al centro dov’era presente un pozzo, che serviva alla sopravvivenza di tutti quelli che vivevano al suo interno. Il fatto che a questo progetto ha partecipato molta gente che conosciamo da tempo, che consideriamo ormai come una famiglia, e tutti quanti noi, da un certo punto di vista, sopravviviamo grazie alla musica. È stato questo a portarmi a scegliere questo nome.

Grazie mille per l’ospitalità e per tutto il resto. Adesso amunì a mangiare qualcosa!

Barile: Grazie a te. Amunì!

Gheesa: Figurati.