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Intervista a SketchThisOut: introducing Chicks&Types



Vi ricordate la serie di racconti pubblicati sul nostro blog e scritti da Cosimo Lorenzo Pancini ispirandosi alle lettere di Simone Massoni? Ecco qui quattro chiacchiere con l’autore di quelle immagini, SketchThisOut, che parla del suo nuovo lavoro in una interessante intervista.

Descriviti in 100 parole!
Un aggettivo con cui potrei descrivermi è versatile visto che il mio percorso artistico è partito dai libri per bambini per arrivare all’illustrazione editoriale, passando attraverso lavori di graphic design, di illustrazione per la moda, allestimenti, mostre, character design e commissioni nel campo dell’advertising. Mi piace provare tutte le cose che mi suscitano interesse, senza pensare troppo ai confini che le separano e le definiscono.

Ci parli del tuo progetto più recente? Descrivi cosa rappresenta per te e come l’hai concepito, ossia che ricerca hai fatto per dare vita a Chicks & Type, di cui vediamo delle immagini qui.

Chicks&Types e un progetto che nasce da una doppia passione: quella per l’illustrazione e quella per la tipografia.
Da una parte mi interessa molto l’aspetto della percezione delle forme, della capacità di descrivere un volume non tanto attraverso un’ombra tridimensionale, una prospettiva fittizia, quanto piuttosto con l’incastro di spazi, di pieni e di vuoti. Dall’altra questo progetto è stato una scusa per approfondire lo studio dei caratteri tipografici, non solo a livello di disegno, ma anche e soprattutto a livello di storia.Il progetto ha ovviamente anche un taglio commerciale: l’uso della coscia, pardon, della pin-up, è per me in realtà un gancio (oltre che un piccolo piacere personale) per attirare l’attenzione. Chi vuole andare oltre la facciata sfacciata delle pupe troverà tutta una serie di riferimenti e cenni storici direttamente legati alle font presentate di volta in volta.

Per documentarmi ho fatto ricerca e in certi casi contattato direttamente i designer dei caratteri tipografici, chiedendo loro di descrivermi la genesi dell’idea che li aveva portati a concepire quella tale forma piuttosto che un’altra, o anche semplicemente raccontarmi aneddoti circa la creazione della font stessa, cosí che con alcuni ho avuto addirittura il piacere di fare una chiacchierata di persona, e alla fine la mia ricerca é divenuta a sua volta una vera e propria storia da raccontare.

Il concetto di storia che Chicks&Types ha alla base ha generato un circuito di contatti tra l’illustrazione e la prosa, e successivamente anche la musica. Alcune delle illustrazioni, sono servite da spunto per una serie di racconti, ovviamente a carattere tipografico, attraverso i quali l’amico e poliedrico artista Cosimo Lorenzo Pancini ha interpretato e intrapreso una personale ricerca sull’amore. E questi stessi racconti hanno fornito a sua volta lo spunto alla compositrice Jeanette Sollèn che ha scritto delle musiche dedicate.. Insomma è successo quello che potevo immaginare nella più rosea delle aspettative: la creazione di una specie di macchina che coinvolge e punta a generare piacere (oltre che conoscenza).

Cosa ti ha divertito di piu?

Sicuramente scoprire aneddoti e storie a volte inedite sulla genesi dei singoli caratteri. E la connessa opportunità di conoscere i vari artisti attraverso punti di vista inaspettati.

A chi vorresti che arrivassero le tue lettere?

A quante più persone possibili. Senza alcuna distinzione. Io in questo processo di diffusione mi reputo mezzo: scelgo, seleziono e produco una lista di forme che comunicano. Ho la pretesa che queste forme siano portatrici di bellezza per chi la sa riconoscere, e per chi non ci riesce magari semplicemente di pace. Chi non riconosce e neanche percepisce può sempre accontentarsi di un paio di tette.

Di che colore vedi il tuo futuro?

Di mille colori, tutti allegri e fotonici, festaioli senza riserve. Soprattutto per quanto riguarda la prossima lettera in cantiere.

Quale è una tua storia preferita che colleghi alla genealogia delle tue lettere?

Non ne ho una in particolare quindi pesco a caso, anzi dall’ultimo set di lettere studiato.
L’Optima del tedesco Hermann Zapf che prima di essere un maestro nell’arte del disegno di caratteri è stato un famosissimo calligrafo, autodidatta per giunta.


La scelta è stata quasi obbilgata nel senso che in un compendio minimo delle font che hanno contribuito a definire la storia del design come oggi lo conosciamo, non ti può mai mancare un pezzo di Hermann.
C’è un altro modo di dire che descrive bene questa sorta di guida essenziale per grafici, quei font per il cui utilizzo nessuno può venire licenziato.

Detto questo, la mia scelta è ricaduta sull’Optima, un po’ per caso, un po’ per gusto personale, un po’ perché avevo bisogno di fare una F che non fosse nè graziata, nè un bastone (le F bastone maiuscole sono praticamente tutte uguali). Per cui in maniera del tutto fortuita è venuto fuori che nel lontano, ma neanche troppo, 1950 Hermann Zapf si trovava a Firenze quando è stato colto dalla folgorazione che pochi anni dopo sarebbe diventata l’Optima. E non solo, si trovava più precisamente a fare il turista per caso nella chiesa di Santa Croce (cioè a 200 mt dal mio studio) quando guardando una pietra tombale, una di quelle snobbate dai turisti veri, la sua attenzione è stata solleticata dallo strano stile dell’iscrizione, un classico romano tuttavia mancante di grazie alle estremità delle aste. Da qui l’idea di creare una font ibrida che unisse il gusto classico del graziato a quello più modaiolo, considerando l’epoca, del bastone.

Come facevo a non andare a fare documentazione direttamente sul posto? L’ho fatto, ovviamente. Ma non finisce qui. Non avendo con sé nessun foglio su cui buttare giù i primi schizzi per fermare l’idea appena partorita, si è servito di una banconota da mille lire -unico oggetto cartaceo a disposizione immediata- per schizzare delle bozze di lettere… e che lettere. Fra i segni calligrafati sulla banconota imperano (almeno per me) le due maiuscole SM, cioè le mie iniziali.

Non so voi ma a me questo bastava e avanzava per crearci una storia, una suggestione visiva arricchita nei particolari dai colori usati nei marmi di Santa Croce, dai motivi geometrici tipici delle chiese fiorentine, dal cielo plumbeo di quando sono corso a fare foto improbabili agli angoli dei colossali portoni della chiesa, da un abbigliamento che attinge direttamente ai fashionisti 50, e per finire da un’ammiccante turista che non poteva che chiamarsi Florence.