“Ad Occhi Aperti” è una nuova rubrica che prende il via su Goldworld.it .
Ispirata da quelle interviste in musica che molti giornali musicali propongono ormai da tempo (e che una nota rivista italiana, sulla quale scriveva anche il sottoscritto, ai tempi chiamava “ad occhi chiusi”) l’idea di fondo della rubrica è quella di proporre all’intervistato, anziché le classiche domande, alcune tavole di fumetti e lasciarlo poi parlare a ruota libera sulla base di ciò che le immagini hanno in lui evocato.
Per inaugurare “Ad occhi aperti” abbiamo scelto un gran nome della cultura fumettistica italiana: Alberto Becattini.
Fra i massimi esperti mondiali dei fumetti Disney, curatore di molte delle serie Disney uscite in Italia, autore di molti coltissimi articoli sul fumetto sia in Italia che all’estero, eminenza grigia del blog, Becattini si è reso disponibile a fare da cavia per questo primo esperimento… e, direi, con risultati egregi…
Un grazie ad Alberto e un appello a tutti voi lettori a farci avere un vostro feedback su questo nuovo format.
Ah, Topolino e l’uomo di Altacraz di Romano Scarpa.
Forse l’ultima grande storia “classica” del Maestro veneziano.
Il mio primo approccio alle storie di Scarpa è stato nei primi anni Sessanta, su Topolino, Albi della Rosa e Classici di Walt Disney.
Non ricordo esattamente quale sia stata la prima storia di Scarpa che ho letto… forse Topolino e le delizie natalizie?
Oppure Topolino e il doppio segreto di Macchia Nera? (peraltro, entrambe con soggetto di Guido Martina).
Ricordo però benissimo di essere stato colpito da quelle storie per il tratto, che si discostava notevolmente da quello di altri autori italiani, e ovviamente per le trame, che erano più complesse e affascinanti.
Storie quali Topolino e l’unghia di Kalì o Topolino e la Dimensione Delta, ma anche Paperino e le lenticchie di Babilonia, sono state delle vere e proprie rivelazioni e mi hanno fatto imparare ad amare il personaggio di Topolino, che appariva senz’altro più accattivante rispetto ad altre storie.
Già a quella tenera età (avevo 8-9 anni) le mie velleità filologiche mi facevano notare le firme “Walt Disney” che Scarpa metteva qua e là (in Topolino e il mistero di Tapioco Sesto, per esempio) per far sembrare che si trattasse di strisce quotidiane rimontate.
Tuttavia – non voglio essere presuntuoso, ma credo sia stato così – non ero convinto che si trattasse di storie made in USA.
C’era qualcosa di diverso, di unico, nella filosofia di quelle storie, che poi si rifletteva sui personaggi… dai protagonisti quali Topolino, Pippo, Paperino e Zio Paperone ai comprimari quali Eta Beta, Atomino Bip-Bip, Gambadilegno, Trudy e Brigitta.
C’era, in quelle storie, un rigore che era estraneo a quelle di altri autori, un approccio per molti versi più “adulto” nelle tematiche.
Alla fine, come ho scoperto quando ho conosciuto Scarpa, riflettevano il loro creatore. Romano era un uomo molto rigoroso, puntiglioso, cosciente del proprio talento e giustamente orgoglioso delle proprie creazioni.
Conosceva a menadito le caratteristiche dei personaggi Disney, aveva letto tutte le grandi storie classiche americane, e poi era un appassionato di cinema (oltre che animatore)…
Insomma, c’era una profondità diversa nelle sue storie. Come uomo, era un’ottima persona, a volte un po’ incompromissorio, ma molto aperto…
Con lui si poteva parlare di qualsiasi cosa e ogni volta aveva qualcosa di interessante da dire. Mi mancano molto le nostre conversazioni.
Romano, con Giovan Battista Carpi, Luciano Bottaro e pochi altri, mi ha fatto crescere nella mia consapevolezza di “filologo disneyano”, ha segnato il mio definitivo passaggio da appassionato e collezionista a divulgatore…
Perché queste, e altre che negli anni ho conosciuto, erano persone meravigliose, ed era doveroso che qualcuno ne parlasse e ne scrivesse.
Flash Gordon…
Qui siamo alla vera e propria epifania.
Allora… Ricordo perfettamente quel giorno d’estate del 1964 in cui vidi esposto, in un’edicola del centro di Firenze, vicinissima al ristorante di mio nonno, il primo numero del Gordon dei Fratelli Spada… Il razzo celeste del Dottor Zarro.
Una copertina bellissima, dipinta da Mario Carìa.
Ero con mio padre, che aveva conosciuto Gordon sulle pagine dell’Avventuroso di Nerbini, cosicché non esitò a comprarmi quell’albo, che – davvero – mi aprì un mondo.
Conobbi l’arte di Alex Raymond, che a tutt’oggi considero il più grande disegnatore di comics di tutti i tempi. E Gordon, Dale, Zarro, Ming, Aura, Barin, Uraza…
Mondi incredibili, pieni di strane creature…
Il tutto disegnato con una eleganza impareggiabile…
Donne bellissime…
E chissenefrega se le trame non erano granché…
Ogni vignetta mi faceva sognare.
Ancor oggi continuo a collezionare le storie di Flash Gordon.
Negli anni ho scoperto che l’edizione Spada era in realtà “taroccata”, ripresa in parte dagli albi Nerbini con “lucidi” e rimontaggi in quantità industriale…
Così mi sono via via ricomprato il Flash Gordon di Raymond in varie edizioni, sempre più fedeli all’originale USA, l’ultima delle quali (la definitiva, direi) è quella recente della IDW.
Ma con gli Spada ho un grosso debito.
Perché Gordon fu solo l’inizio.
Da lì in poi mi misi a collezionare tutte le loro pubblicazioni, scoprendo anche gli altri grandi eroi del King Features Syndicate… Mandrake (quando iniziarono la serie cronologica su Special Mandrake, nel 1965, ricordo che andavo in filobus a Fiesole perché lì arrivava due-tre giorni prima!!!), e poi L’Uomo Mascherato, Cino e Franco, Agente Segreto X-9, Bat Star…
Sono stati gli Spada a farmi conoscere il fumetto d’avventura USA.
Tornando a Gordon, devo sottolineare il mio amore incondizionato per le storie a strisce realizzate tra il 1951 e il 1990 da Dan Barry su testi propri o di sceneggiatori del calibro di Harvey Kurtzman o Harry Harrison.
Molte di quelle storie, che ci mostrano un Gordon forse meno avventuroso ma sicuramente più problematico e credibile, sarebbero perfette per essere adattate in episodi di una serie TV.
Ah, che meraviglia…
Il Professor Mortimer di Edgar-Pierre Jacobs.
Un’altra epifania.
Era ancora il 1964 (un anno fatidico, dunque), era inverno, e stavolta ero con mia nonna.
Mi comprò un numero dei Classici dell’Audacia di Mondadori intitolato S.O.S. Meteore.
Non avevo mai letto un fumetto franco-belga prima di allora.
Ma quella storia di tempo atmosferico impazzito, luoghi sinistri e folli scienziati mi entusiasmò.
Ricordo che i dialoghi erano insolitamente lunghi (ancorché poi abbia scoperto che i traduttori di Mondadori li avevano praticamente dimezzati, rispetto all’originale!), ma dannatamente intriganti.
E il disegno…
Così preciso, pulito, efficace.
Ho sempre detto che se dovessi salvare un fumetto dal diluvio, sceglierei una storia di Blake & Mortimer…
Sono incerto tra S.O.S. Meteore e Il Marchio Giallo, che uscì subito dopo.
Anche in quel caso, procedendo à rebours, andai a cercare gli arretrati dei Classici dell’Audacia sulle bancarelle e nei negozietti dell’usato, e in breve tempo ricostruii la serie da n. 1…
Mi piacevano anche Michel Vaillant, Jimmy Torrent e Ric Roland, ma Blake & Mortimer non avevano pari… Il mistero della Grande Piramide… La trappola diabolica…
C’era questo carismatico nemico, il colonnello Olrik, che ricordava il Macchia Nera disneyano senza maschera.
Ma, davvero, non si buttava via nulla.
Quelle storie erano perfette, nel ritmo della sceneggiatura e nel disegno ligne claire.
L’Asso di Picche…
L’ho scoperto su quella splendida rivista di Ivaldi, Sgt. Kirk, il cui primo numero acquistai nell’estate del 1967, mentre ero al mare in Romagna.
Era una rivista molto diversa da Linus, che collezionavo già da tempo.
Ruotava intorno a questo disegnatore dal nome vagamente esotico, Hugo Pratt, del quale nulla sapevo (non avevo mai letto le sue storie sul Corriere dei Piccoli).
Una scoperta…
E ricordo che notai subito come il suo tratto si fosse evoluto dall’Asso di Picche a Sgt. Kirk (che, lo confesso, non ho mai amato), fino a Una ballata del mare salato.
Conoscevo il Johnny Hazard di Frank Robbins, e notai come Pratt vi si fosse ispirato, soprattutto per Anna nella giungla.
Per L’Asso di Picche si rifaceva più a Milton Caniff, il cui Terry e i Pirati conobbi proprio sulle pagine di Sgt. Kirk.
Capivo che si trattava di materiale di molti anni prima, e ci rivedevo un po’ l’Uomo Mascherato, un po’ Batman (un altro dei miei personaggi preferiti).
Mi piaceva molto il gioco di luci e ombre, che poi è sempre stato una caratteristica del miglior Pratt.
Il ritmo delle trame, che poi scoprii essere di Mario Faustinelli e Alberto Ongaro, era un po’ quello classico delle storie americane, e per questo mi piaceva.
Poi c’era la pantera nera che mi ricordava la Fang di Cino e Franco…
E non mancavano le belle donne, elemento essenziale per un buon fumetto.
Tra l’altro, L’Asso di Picche è storicamente importante perché rappresenta uno dei primi eroi mascherati (o, in senso lato, super-eroi) made in Italy.
Lo stesso Pratt, diversi anni dopo, avrebbe riproposto quel tipo di eroe con L’Ombra, ancora su testi di Ongaro.
Ho continuato a seguire Pratt lungo tutto il suo percorso artistico, e devo dire che ad oggi prediligo le storie brevi di Corto Maltese che realizzò per il francese Vaillant, poi pubblicate in Italia su Linus.
Una perfetta fusione tra sceneggiatura e disegno.
Non scopro nulla se dico che Pratt ha rappresentato un modello per più di una generazione di artisti…
Penso a Daniel Haupt, Carlos Enrique Vogt… I suoi corsi alla Escuela Panamericana de Arte sono stati fondamentali per il rinnovamento del fumetto realistico argentino e sudamericano.
E non solo…
Penso al Misterix di Paul Campani, pure ispirato allo stile “caniffiano” di Pratt, così come ai primi lavori di Roy D’Ami.
Kriminal…
Allora, qui siamo nel 1966…
Ero in vacanza in Casentino, e acquistai il mio primo numero di Kriminal, che era il 50, in parte a colori.
Già collezionavo Diabolik, ma questo criminale con il costume da scheletro era diverso, per vari motivi.
Come sempre, in primo luogo fu il disegno a colpirmi.
La prima tavola era firmata “Magnus”…
Ma chi era?
Pochi numeri dopo, la firma cambiò in “Magnus & Bunker”, e il mistero si infittì.
Scoprii poi che per lo stesso editore, Corno, questi due realizzavano anche molte storie di Satanik, Dennis Cobb e Gesebel, e ovviamente mi misi a collezionarli tutti avidamente.
A un certo punto vendetti la collezione di Diabolik (ebbene sì, avevo anche il n. 1), per dedicarmi anima e corpo a Kriminal & C….
Ma attenzione…
Esclusivamente ai numeri realizzati da Magnus.
Adoravo ogni sua vignetta…
Come usava le campiture nere…
Quel suo stile un po’ grottesco…
Le donne, bellissime e sensuali…
Era così originale, non riuscivo a collegare il suo stile con quello di nessun altro.
Adoro tutto quello che ha disegnato…
Ricordo l’ansia con la quale attesi l’uscita di Alan Ford, nel 1969.
Era circa un anno che l’avevano annunciata… “Prossimamente, Alan Ford”…
Ad oggi, credo che alcuni numeri siano semplicemente perfetti…
La casa dei fantasmi, per esempio.
Di Kriminal debbo dire che qualche storia appare un po’ datata, ma alcune – penso a Omicidio al riformatorio, Le quattro croci, Editorial Heros, il ciclo di Mr. Ypsilon – sono degli assoluti capisaldi.
Lo stesso dicasi per certe avventure di Satanik… Il ritratto di Alex Bey, Psyco, il ciclo di Wurdalak…
Ho detto più volte e ripeto che per me Magnus è il più grande disegnatore italiano di fumetti di ogni tempo.
Lo Sconosciuto e Necron (quest’ultimo, geniale applicazione della ligne claire al fumetto umoristico-erotico) sono dei capolavori assoluti.
Punto e a capo.
Oddio, un’altra copertina fatidica…
Questo albo (The Brave and the Bold n. 68, novembre 1967) è stato, in assoluto, il primo comic book USA che io abbia mai comperato…
Alla prima edicola sotto i portici, qui a Firenze (edicola alla quale mi servo ancor oggi!).
Non so che cosa mi abbia spinto ad acquistarlo… Forse la copertina, con un Batman “deformato” e tre dei suoi arci-nemici sullo sfondo.
Come ho accennato prima, Batman è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. Lo conoscevo dai tempi degli Albi del Falco e del Superalbo Nembo Kid di Mondadori…
Ma in realtà il primo Batman lo avevo scoperto da poco, sul mensile dallo stesso titolo, in bianco e nero, che Mondadori pubblicava da circa un anno.
Mi piaceva perché era diverso dal Batman contemporaneo, quello ironico derivato dai telefilm…
Che pure adoravo.
E, come al solito, notavo che nonostante la firma “Bob Kane” lo stile del disegno cambiava notevolmente da una storia all’altra…
E scoprii che dietro quella firma si celavano artisti quali Jerry Robinson, Sheldon Moldoff e Dick Sprang (il mio preferito, quest’ultimo).
Le copertine, poi, erano firmate “Infantino + Giella” o “Infantino and Anderson”, cosicché associai quello stile ad alcune delle storie pubblicate all’interno dell’albo.
Ma torniamo ai comic books.
Negli anni Sessanta, nelle edicole della Stazione di Santa Maria Novella e del centro, a Firenze, arrivavano con cadenza mensile tonnellate di albi americani.
Costavano, allora, 120 lire l’uno, e io potevo permettermi di comperarne 10-15 alla volta. Così, dal novembre 1967 fino ai primi anni Ottanta (quando di fatto la distribuzione in edicola cessò), ogni settimana facevo un religioso giro di tutte le edicole del centro, scegliendo ogni volta i titoli che più mi interessavano, e ogni volta tornando a casa con una pila di albi, tutti rigorosamente timbrati “Casa del Giornale – Napoli” o “Interdipress – Milano”.
Collezionavo soprattutto i titoli della DC Comics, mentre ignoravo quelli della Marvel (che ho scoperto più tardi, in italiano, grazie all’Editoriale Corno).
Devo dire che già allora li acquistavo più per i disegnatori che per i personaggi…
Per esempio, comperavo gli albi della Charlton Comics perché c’era sempre almeno una storia di Steve Ditko.
E per via di Ditko ho iniziato a collezionare anche le riviste dell’orrore della Warren… Creepy, Eerie e Vampirella.
Intorno al 1972 ho cominciato a collezionare albi USA in modo più sistematico…tutta la produzione Disney, gli albi Dell ispirati a film e telefilm…e poi quelli degli anni Quaranta e Cinquanta di editrici quali Fiction House, Ziff-Davis e St. John.
Oggi ne ho qualche migliaio.
Collezionare comic books, tra l’altro, è stata la spinta finale a concentrarmi sullo studio dell’inglese…
Dopo averlo iniziato a studiare in seconda elementare, in un corso opzionale pomeridiano.
Come qualcuno saprà, sono laureato in Lingue e da trent’anni insegno lingua e letteratura inglese nei licei…
Dico spesso ai miei ragazzi che una buona percentuale dell’inglese che oggi so l’ho imparato dai fumetti…
Inoltre devo molto al cinema, al rock (soprattutto al progressive) e alla letteratura.
Splendida copertina di Carmine Infantino per Flash Comics del dicembre 1947…
Questa è una provocazione bella e buona.
Scherzando, ma con espressione più o meno seria, dico spesso che per me “il fumetto è morto nel 1947”…
Quell’anno coincide infatti, secondo alcuni storici, con la fine della Golden Age e con il crepuscolo dei super-eroi USA…
In realtà le mie collezioni non si fermano affatto al 1947…
Ci mancherebbe altro!
Che fine farebbero gli splendidi EC Comics degli anni Cinquanta?
E tante splendide storie della Silver Age?
Resta però il fatto che il fumetto Golden Age ha un fascino inimitabile…
E che in quell’era c’è stato più di un annus mirabilis…
Il 1936, per esempio. Date un’occhiata alle strips uscite nel 1936, e vedrete che hanno un tratto di eccellenza difficilmente reperibile in altri anni…
Mandrake, The Phantom, Flash Gordon, Brick Bradford, Mickey Mouse…
Quelle del 1936 sono storie insuperabili, nella sceneggiatura e nel disegno.
Riguardo al post-1947…
È innegabile che il Dopoguerra abbia inferto un colpo micidiale alle strisce avventurose USA…
Hanno proliferato le soap operas…
Anche eccellenti, nel disegno, come Juliet Jones di Stan Drake oppure On Stage di Leonard Starr, ma le trame erano di un palloso unico!
Nei comic books si è dovuta attendere la Silver Age, quindi il 1957-58, per vedere qualcosa di nuovo e (ri)scoprire disegnatori quali Infantino, Anderson, Gil Kane, Kubert, Ditko…
L’“inizio della fine” è stato nei primi anni Settanta, quando molti disegnatori USA hanno ceduto il passo a spagnoli, sudamericani e filippini…
Alcuni dei quali (penso a Niño o Alcala) erano dei grandi professionisti…
Ma secondo me non erano adatti ai fumetti USA, alla fine li hanno spersonalizzati…
Su quanto è accaduto dagli anni Ottanta in poi stenderei un pietoso velo…
Degli ultimi trent’anni salvo davvero poco, mi spiace dirlo.
Che vista magnifica, la Sally Forth di Wally Wood!
Pochi hanno saputo disegnare il corpo femminile in modo così titillante come Wood.
In realtà, credo che Wood sia stato uno dei pochi a saper disegnare qualsiasi genere di fumetto in modo eccellente.
Sono dei capolavori le sue storie di fantascienza per la EC Comics, ma era un mago anche a tratteggiare super-eroi, western, guerra, umoristico…
Come Magnus e Ditko, aveva uno stile unico, non imitava nessuno…
Era soprattutto affascinante il modo in cui gestiva le ombre sui volti e i corpi dei personaggi, il modo in cui disegnava astronavi, macchinari e corpi celesti.
Come per Magnus, anche per Wood vale la regola del “non si butta via nulla”…
Se non le sue ultimissime storie erotiche, realizzate più che altro dai suoi assistenti, quando era già quasi cieco.
Parlavo prima delle edizioni dei Fratelli Spada.
Bene, sono stati loro a farmi conoscere anche Wood. Nel 1966 gli Spada pubblicarono la collana Albi Flash, che ospitava le storie della Squadra Tuono (T.H.U.N.D.E.R. Agents, in originale). Molte di queste storie (le migliori) erano firmate “Wood”, e poco dopo scoprii di chi si trattasse.
Qualcosa di Wood apparve anche su una singolare rivista di grande formato, ComicsRama, ma all’epoca non c’era molto di suo disponibile in italiano.
Su Linus apparve la striscia natalizia Bucky Ruckus, quindi uscì una rivista intitolata Witzend, che poi diventò Spyder, la quale pubblicava eccezionali storie di Wood (Animan), ma anche di Ditko, Morrow, Williamson e altri.
Doveva essere intorno al 1970, quando l’editore Aldo Bezzi (che tra l’altro conobbi in occasione di Lucca 1969), mise in vendita un lotto dei primi numeri di Witzend (la fanzine USA fondata dallo stesso Wood), che io acquistai senza indugio alcuno.
Poi rividi Wood sugli albi di Devil della Corno (bellissima la storia del Matador) e mi venne sempre più voglia di trovare tutto quello che aveva disegnato, nella versione originale.
Così mi misi a comporre la serie T.H.U.N.D.E.R. Agents (ci ho messo 20 anni per completarla!), e a cercare le ristampe della sua vastissima produzione per la EC Comics, comprese le esilaranti parodie per Mad.
Ma il suo The Spirit sulla Luna l’ho letto per la prima volta su un supplemento di Eureka, e la sua “fase erotica” l’ho conosciuta e apprezzata grazie a un albo pubblicato dalla Comic Art.
Come dicevo, di Wood salvo il 99%, e se devo scegliere il meglio della sua produzione guardo alle storie di orrore e fantascienza che ha realizzato per la EC Comics negli anni Cinquanta (parte delle quali ho letto per la prima volta sugli Oscar Mondadori).
Oh, il Topolino di Floyd Gottfredson…
Un altro dei miei autori preferiti…
Sicuramente il mio autore disneyano preferito.
Seguire il Topolino avventuroso nelle strisce quotidiane di Gottfredson dal 1930 al 1955 è un po’ come percorrere la storia del fumetto Disney (il miglior fumetto Disney) e la storia degli USA durante quei 25 anni.
Gottfredson è stato un maestro della narrazione seriale, oltre che un eccellente disegnatore.
L’evoluzione del suo tratto testimonia la sua ricerca artistica. Per motivi generazionali, il Gottfredson che ho conosciuto è quello degli anni Cinquanta, riformattato per il Topolino tascabile.
Ancor oggi quelle sono le storie che prediligo, scritte da quel genio chiamato Bill Walsh. Topolino e il terraplano, Topolino e la scarpa magica, Topolino contro Topolino…
Sono avventure bizzarre, a tratti inquietanti, nelle quali Topolino appare, almeno inizialmente, insicuro, quasi travolto dagli eventi. Il tratto angoloso di Gottfredson è perfetto per visualizzare questo tipo di trame…
Così come lo era il suo tratto “gommoso” negli anni Trenta, per avventure altrettanto epiche quali Topolino e il Pirata Orango, Topolino agente della Polizia Segreta o Topolino e il mistero di Macchia Nera, che scoprii solo alla fine degli anni Sessanta grazie al volume Le nostre prime leggendarie imprese e alla serie Le Grandi Storie.
So che molti prediligono Carl Barks a Gottfredson.
Anch’io adoro Barks e credo che nessuno meglio di lui abbia compreso e manifestato l’essenza dei Paperi disneyani.
Tuttavia credo che Gottfredson gli sia artisticamente superiore.
Il disegno di Barks, soprattutto negli anni 1947-55, è perfettamente funzionale alle sue storie, ma nel tratto di Gottfredson, come dicevo prima, si avverte una maggiore ricerca e una maggiore perizia tecnica. Detto questo, sono due Maestri assoluti.
Lo sapeva bene Romano Scarpa, che ha attinto ad entrambi costruendosi un proprio, formidabile stile.
Tornando a Gottfredson, la passione per questo autore è alla fine responsabile della mia (dis)avventura televisiva a Lascia o Raddoppia, nel 1989.
Partecipai alle selezioni, prima a Firenze e poi a Roma, grazie all’ottimo Fulco Douglas Scotti, oggi purtroppo scomparso.
E alla fine approdai alla trasmissione, che andava in diretta su RAI uno, il giovedì alle 20.30.
Questo significava che a scuola dovetti chiedere il giovedì libero, perché ogni settimana partivo in treno da Firenze alle sette di mattina per tornare alle quattro di mattina del venerdì (e andare a scuola alle otto).
Un vero tour de force, considerando anche che durante la settimana dovevo studiare! A presentare c’era Bruno Gambarotta, con Lando Buzzanca e Johara. Ovviamente mi presentai per “Topolino e Walt Disney”, e per le prime quattro trasmissioni filò tutto liscio.
Alla quinta, mi fecero una domanda alla quale non potevo rispondere (“Quale altro ruolo ha svolto Al Taliaferro nell’ambito dello spettacolo?”), perché Taliaferro non fece nient’altro se non disegnare soprattutto Paperi disneyani dal 1931 al 1969.
Fui quindi temporaneamente eliminato, ma feci ricorso (misi in mezzo, come “testimone a mio favore”, anche Dave Smith, capo-archivista Disney) e venni reintegrato dopo qualche settimana…
Ricordo che mi tolsero anche quello che avevo vinto la settimana precedente all’esclusione, quindi dovetti riguadagnarmelo.
Poi presi una decisione.
Se avessi raddoppiato, avrei vinto 75 milioni di lire (mai visti in vita mia!), per cui mi giocai il jolly e dopo aver risposto alla composita domanda finale (era su Topolino giornalista, storia di Gottfredson del 1935), tornai a casa ormai consapevole che la settimana successiva non avrei più risposto ad alcuna domanda.
A un costernato Gambarotta confermai infatti la ferma decisione di lasciare.
Fu, tutto sommato, un’esperienza interessante, ma anche estremamente stressante, tanto che all’inizio del 1990 mi venne un Herpes Zoster (o Fuoco di Sant’Antonio), che mi tenne lontano dalla vita sociale per un po’ di giorni…
Richard Corben…
Proprio l’altro giorno ho acquistato il secondo di due numeri del suo adattamento a fumetti de La caduta della casa degli Usher, da E. A. Poe. Corben è un autore sorprendente, un altro maverick del fumetto come Ditko, Magnus e Wood.
Sorprendente anche perché, dopo quarant’anni e più di attività, non mostra alcun segno di cedimento.
Non è da tutti. Anche Corben l’ho amato da subito…
Credo di averlo conosciuto sulle pagine del 1984 americano, e poi sulle antologie di Creepy.
Ho sempre ammirato la sua abilità nell’uso “tridimensionale” della mezzatinta e del colore.
E l’aspetto straniante delle sue storie.
Certamente, rispetto ad altri disegnatori, è quello che si definirebbe un autore “di nicchia”…
E posso capire che ad alcuni non piaccia… Corben è un po’ come il Maggiolone della Wolkswagen (nota: io ne ho posseduto uno)…
O lo ami incondizionatamente, o non lo apprezzi affatto. Come dicevo, io l’ho sempre adorato…
Credo che abbia toccato l’apice con Den e con New Tales of the Arabian Nights, ma anche lavori recenti come le storie di Hellboy o Ragemoor sono, per quanto mi concerne, eccezionali.
Cosicché è uno dei pochi autori che continuo a seguire sistematicamente, come Bernie Wrightson, Mike Mignola e Darwyn Cooke. Uno dei pochi da salvare nel post-1947, insomma.
Roy Thomas e John Buscema…
Che dire?
Due grandissimi del fumetto super-eroistico… e non solo.
Conosco personalmente Roy da alcuni anni, e con lui collaboro scrivendo articoli per la sua pro-zine, Alter Ego.
Nonostante non sia più un ragazzino, Roy conserva intatti quell’entusiasmo, quella passione che aveva da “fanzinaro” adolescente.
Quando eravamo entrambi ospiti di Torino Comics, parlammo di tutto un po’, a cena… O meglio, Roy parlò per tutto il tempo, lasciando freddare quelle lasagne che io intanto deglutivo con un certo senso di colpa.
Per dire del suo entusiasmo…
Al quale ha tuttavia aggiunto il piglio del professionista.
E che professionista!
Il suo Conan (quello disegnato da Barry Windsor-Smith, in particolare) resta uno dei migliori adattamenti di heroic fantasy di ogni tempo.
Proprio dall’incontro di Torino, tra l’altro, è nata la mia collaborazione ad Alter Ego.
Ho iniziato con un lungo saggio su Matt Baker e poi, come al solito, mi sono concentrato su altri autori come Jerry Siegel, Enrico Bagnoli, Bob Powell, Mel Keefer…
Ogni tanto Roy ha ancora la bontà di pubblicare un mio pezzo (alcuni, in realtà, li ha nel computer da anni).
Dicevo prima di Conan, nel cui territorio è transitato anche John Buscema, o “Giovanni Natale Buscema”, come mi rivelò la prima volta che ci conoscemmo… in occasione di un Prato Comics, nel 1992 (c’era anche Jim Steranko… un altro genio!).
John, che mi chiamava “Professore”, era un uomo grande e grosso e molto tenero…
Ma anche molto opinionated, come si dice in inglese.
Ci siamo rivisti varie volte, in occasione di Lucca Comics, Expocartoon e ancora – l’ultima volta – di Prato Comics, e ogni volta si parlava dei nostri gusti e disgusti.
Mi confessò candidamente che ormai detestava i super-eroi, che il personaggio che preferiva disegnare era Conan, ma che gli inchiostratori rovinavano il suo lavoro.
E io ero d’accordo con lui…
Anche se pensavo (e continuo a pensare) che il suo massimo John l’avesse toccato con Silver Surfer, soprattutto nelle storie inchiostrate (bene, stavolta) da suo fratello Sal (“Silvio”, come precisò John stesso) e da Dan Adkins.
Il tratto di John aveva un eleganza estranea a molti altri disegnatori della Marvel Comics (Gene Colan, forse, è stato un’altra notevole eccezione).
Come Alex Raymond, John si sentiva più illustratore che disegnatore, e tesseva le lodi di Al Parker e Coby Whitmore, con i quali aveva avuto modo di collaborare.
Nonostante, specie negli ultimi anni, si sentisse un po’ “prigioniero dei fumetti”, John ha comunque dato un inestimabile contributo di grazia ed eleganza, ma anche di energia e potenza ai comic books, super-eroistici e non.