In occasione del concerto “Midnite Live Session Tour” programmato per venerdì 8 novembre al Viper, ho avuto l’immenso piacere di scambiare due parole con Salmo ed approfondire un po’ le sue idee riguardo al suo background, alle sue collaborazioni e riguardo all’hiphop.
Una voce consapevole e profonda.
Gold moment.
Non ti piacciono le interviste, poco le foto, per niente i video: poi escono “Far Away”, prima “S.A.L.M.O.” e adesso “K-Hole”. “Far Away” dal sapore pulp; “K-Hole” è una rivisitazione di “Learn to Fly” dei Foo Fighters e in entrambi partecipi, rendendoli fenomenali: mi spieghi questo rapporto col video?
Nono, i video mi piacciono.
Non mi piacciono le video-interviste.
I video che facciamo mi piacciono e mi piace anche farli.
Com’è nata la collaborazione con Niccolò Celaia dei “Brokenspeakers” per i video?
Avevo visto dei video di Niccolò un po’ di anni fa, durante il periodo di “Yoko Ono”.
Infatti, il video di quel pezzo lo doveva fare lui inizialmente, perché avevo visto quello per Primo Brown e mi era piaciuto particolarmente.
Poi, purtroppo mi sono trovato a dover fare altri lavori e quindi ci siamo sentiti dopo un po’ di tempo.
Penso che Niccolò e Antonio siano tra i videomaker più forti in Italia.
Sono molto preparati.
Su un’altra intervista ho letto che secondo te “(…) le quattro discipline non sono più quattro. Il videomaker potrebbe essere nell’hiphop, il fotografo (…)”.
Mi piace questa visione di evoluzione. Pensi che come nell’arte visiva sia stato integrato il video e la fotografia, allo stesso modo nell’hiphop si siano aggiunte queste discipline?
Mi potresti approfondire questo concetto?
Io non parlo di hiphop, perché alla fine non l’ho mai vissuto.
Non mi permetterei mai di identificarmici.
Però se l’hiphop non è morto, sicuramente rivive ora, con questo metodo nuovo, diciamo.
Senza pensare se questa cultura si è evoluta, il modo di lavorare della “Machete” è molto vicina al concetto hiphop di lavorare tutti insieme.
Con la differenza che adesso è un po’ diverso.
Prima i breaker e i dj non potevano lavorare l’uno per l’altro, proprio perché di fatto sono discipline completamente diverse; mentre comunque attualmente un fotografo può lavorare per un rapper.
Alla fine un fotografo può fare un video rap e perciò può nascere una collaborazione, traendone poi un prodotto.
E’ molto più utile adesso.
Nel senso, facciamo più come D’Artagnan: Come dicevano? “Tutti per uno, uno per tutti”.
L’immagine conta da sempre.
Più che altro c’è una simbiosi perfetta adesso tra musica e immagine.
Molti dicono “Perché fare il video? Una canzone può stare da sola”.
Non è più così, perché ora dietro i video c’è una forma d’arte.
Prima era visto molto più come un mezzo, come un lavoro, come un business.
Ora ci sono dei ragazzi che realizzano delle vere e proprie opere d’arte.
Nel nuovo tour hai deciso di fare un vero e proprio live con componenti delle tue vecchie band crossover. Come ti è venuta l’idea dopo aver girato esclusivamente col tuo Dj Slait?
Volevo fare un po’ un di “back in the days”, provare a fare un tour in un’altra maniera.
Volevo dimostrare che si può fare rap più o meno anche così.
Poi diciamo che mi mancava la band.
Avere dietro la batteria, il basso, la chitarra è tutto un altro mondo.
Anche a livello visivo, le persone che vengono a vedere un live, assistono ad uno spettacolo completo.
Non che fare rap, solo due voci e dj, non lo sia.
Anzi, l’ho fatto fino ad ora e proprio per questo volevo provare qualcosa di diverso.
Cerco sempre di non ripetermi troppo.
Non mi fermo, cerco di fare sempre qualcosa di differente, anche a costo di non piacere, chi se ne frega: l’importante è essere vari.
Avevi due gruppi crossover: “Three Pigs’ Trip” e “Skasico”. Elementi di entrambi i gruppi parteciperanno al tour?
Sì, nel live il batterista e il bassista suonavano con i “Three Pigs’ Trip”, uno degli ultimi gruppi che avevo, mentre il chitarrista era il chitarrista degli “Skasico”.
Come hai adattato i tuoi pezzi per essere suonati da una band, a livello di struttura del live?
Il live è molto vario.
Passa da dei pezzi alla roots, molto soft, a dei pezzi metal, molto pesanti: è un miscuglio.
C’è tutta la prima parte sparata, poi scendiamo e alla fine risaliamo.
E’ tutto un fatto di dinamica.
Ci sono dei pezzi tranquilli e dei pezzi forti: basta mischiarli bene.
La scelta della band si limita solo a questo tour o sarà presente anche nei prossimi?
Per il futuro non lo so. Per ora faccio questo tour qua. Poi vedremo se incrementare.
La “Machete Crew” si sta allargando.
Com’è nata l’unione tra “Machete” e The Night Skinny?
Nightskinny ha curato la parte del missaggio del disco “Midnite”, insieme al mio fonico.
Lì ci siamo conosciuti.
E’ un buon artista, molto forte, caparbio.
Ci siamo incontrati e poi abbiamo deciso di inserirlo nella crew.
Nitro è arrivato secondo a “Spit” e sta emergendo molto anche grazie alla collaborazione con produttori quali Shokka, Stabber, Squarta, ecc. Cosa mi puoi dire a suo riguardo?
Nitro è un artista della mia etichetta, la “Machete”.
E’ giovane, secondo me ha delle qualità; sta spaccando parecchio.
Dovrà lavorare in questi anni, chiaramente, per spaccare ancora di più, ma già col primo disco e con ciò che ha fatto fin ora ha dimostrato tanto.
Mi puoi parlare della collaborazione con i “Dope D.O.D.”?
Com’è successo?
Loro sono venuti a suonare qui a Milano lo scorso inverno.
Li ho incontrati, mi hanno invitato al loro live e con Nitro abbiamo fatto la jam session alla fine del concerto.
Ci siamo conosciuti: sono delle persone molto simili a noi, un po’ “degli scappati di casa”, quindi ci siamo trovati.
Gli ho fatto sentire un po’ di beat, poi gli ho mandato quello di “Blood Shake”.
Loro si sono presi bene, hanno scritto, mi hanno mandato subito le strofe, a quel punto io ho scritto sopra il testo e ho fatto l’arrangiamento. Tutto qui.
Sei stato uno dei primi a rappare sulla dubstep. Pensi sia dovuto anche al tuo background crossover?
Sì, probabilmente sì.
Già quando ero ragazzino mi sono abituato a scrivere le rime e fare rap su cose diverse, non classiche.
Quindi è stata una cosa naturale, penso.
Ero già abituato ad altri tipi di ritmi.
Cosa ne pensi di questa mistificazione dell’hiphop?
Non credi si stia perdendo il metro di giudizio per valutare un artista e di conseguenza una perdita di qualità musicale?
Bella domanda.
Quando un genere diventa popolare ha i suoi anni di “sfogo”.
Il rap rimarrà popolare e in classifica per almeno cinque, dieci anni.
Il punto è che poi il mercato comincerà a diventare saturo, quindi le persone cominceranno a stancarsi e perciò bisognerà inventarsi qualcosa per tenere il tiro.
Probabilmente potrebbe perdersi un po’. Speriamo di no. Non lo so.
In realtà poi dipende da come si fa il rap.
Se ci pensi, attualmente ci sono delle realtà indipendenti.
E quando sei indipendente alla fine fai quello che ti pare, non devi seguire le leggi di mercato.
Quindi il fatto di esserlo, potrebbe essere un buon motivo per tenere la qualità alta.
Alla fine non c’è una terza persona che ti dice come dev’essere il disco, come ti devi vestire, come devi pensare.
E’ molto più naturale: magari in questo modo si potrebbe salvare la situazione.
Questo le realtà indipendenti, invece nel mainstream?
Ma nel mainstream non lo so… fatti loro.
Io non sono mainstream, ho un’etichetta indipendente.
Sono a metà tra l’underground e il mainstream: penso sia la posizione perfetta.
Il gusto del pubblico però secondo me, potrebbe essere guastato dalla massificazione del rap da parte del mainstream.
Questa cosa fa ridere, perché la gente sta ancora lì a pensare “commerciale, non commerciale”.
Le persone sono malate di questa parola e adesso sono tutti in questo trip del commerciale, del venduto.
Attualmente tutti quelli che fanno rap stanno dentro ad un business grande, quindi commerciale è tutto e niente.
Alla fine, se vuoi fare rap e lo vuoi fare seriamente, devi infilarti in questo circuito.
Non puoi non parlare di business.
Poi dipende da che tipo di business è: se è sano, cioè fatto in casa, fatto dagli amici di sempre, perché no?
Tutto quello che riguarda me: l’immaginario e le grafiche sono fatte da un amico che conosco da sempre e non da persone che vogliono solo lucrare.
Se lui mi propone un’immagine o una maglietta, lo fa perché mi conosce e sa che è adatta a me, non lo fa perché sa che la vende.
Quindi c’è un prodotto e quando ce n’è uno si parla di business, ma in modo diverso.
E’ proprio l’intento che è differente; è l’attitudine che conta.
La gente pensa ancora di stare negli anni ’90, ma siamo nel 2013, quasi 2014 e le cose sono cambiate, non è più come prima.
Alla fine se sei rapper ora è il momento giusto per tirare fuori le palle.
C’è gente che sta a guardare troppo quello che fanno gli altri e nessuno produce.
C’è una tensione mediatica incredibile su questo genere, quindi io proporrei di spingere la gente a produrre qualcosa e non dovrebbero farlo per arricchirsi, ma perché è il momento giusto. Fatevelo a casa e mettetelo in giro.
Tra cinque/dieci anni, quando il mercato sarà saturo, allora lì sarà difficile.
La gente è un po’ addormentata: a quest’ora dovevano già uscire i ragazzini fenomeni.
Le persone hanno un po’ paura.
Sarà uno spettacolo da non mancare.
Vi aspettiamo al Viper Thatre -Via Pistoiese/Via Lombardia, alle ore 22.
All’apertura troverete sul palco Ganji Killah con il suo “Matteo Rancid Showcase” accompagnato da Mr. Gaz e File Toy, inoltre ad un guest a sorpresa.
Dopo il live di Salmo, invece, all’after show ai piatti ci saranno Shinjin e Scasso, che chiuderanno in bellezza la serata.
Dopo Firenze, Salmo continuerà il suo tour nelle seguenti città:
Stay Gold.