Sono in viaggio. Ho portato con me carta e penna ed era da un po’ di tempo che non lo facevo. L’ultima volta ero su un treno, direzione una qualche data in trasferta e ricordo che stavo scrivendo e perfezionando la scaletta del mio live. Da lì a poco dovevo andare a Berlino alla “WORLD BEATBOX BATTLE”. Non a partecipare, non sono uno da challenge, o meglio, me lo sono chiesto spesso ma sinceramente non ho ancora trovato una risposta. Ero ospite. Oggi, qualche anno dopo, sono di nuovo in viaggio, direzione “X”, mini tour con il mio gruppo acapella, 7 elementi, van da 9 posti e autostrada.
In questo primo articolo penso che parlerò di un po’ di storia e del mio punto di vista. Ancora non lo so con certezza. Questo spazio per me è in divenire, improvviso. Che è anche un modo per presentarmi in fondo. Vado di getto, così mi svelo. Fondamentalmente non ho mai scritto per un magazine… ne so meno di zero di scrittura e sfrutterò tutta la mia ignoranza in materia. L’unica cosa che so è che non sono un giornalista e che quindi non dovrò necessariamente rispettare canoni e obblighi dell’osservatore imparziale. Un punto a favore. Anzi è forse bene che io mantenga la criticità dell’artista parlando della mia materia. Cominciamo.
La mia materia: “The Human Beatbox”…traducendo alla lettera: “la scatola umana del ritmo”. Sono passati parecchi anni da quando è stata coniata questa definizione. Erano i primi anni ’80 o forse addirittura fine ’70 e io ero appena nato o stavo per arrivare. 17 Settembre 1981, lo stesso giorno di Doug E. Fresh, ma 15 anni dopo. Questa cosa mi mette sempre uno strano ghigno in faccia. Lo so, fa molto casalinga che si pavoneggia di essere nata lo stesso giorno di Raffaella Carrà, ma è più forte di me!
Doug E. Fresh è uno dei pionieri dell’ Hip Hop made in New York City, rapper e producer e, sicuramente, il padre del beatbox. Questo è un suo cameo durante la scena finale del film “Beat Street”.
A proposito, il mio consiglio è ovviamente di vederlo il film in questione. E’ un ottimo documentario, sebbene romanzato, con una serie di interpreti illustri di quel periodo, alcuni tra i fondatori della cultura a doppia H. Doug è stato il primo, o uno dei primi, a portare al grande pubblico la sua arte. Un’arte presa dalla strada, con tutte le sue motivazioni, i suoi studi e tutto un contesto culturale ben definito, e portata al grande pubblico. Parte integrante dello show. E’ stato il pioniere di un grande movimento.
Personalmente sono dell’idea che futuro e innovazione siano i motori principali del concetto di evoluzione e che questa sia la giusta direzione a cui guardare. Senza dubbio. E’ una definizione così banale da renderla sempre vera e valida e scontata per ogni campo. Arte compresa. Musica compresa. Beatbox compreso. Di contro penso però che conoscere le radici sia l’unico mezzo per far si che l’evoluzione veda la luce. Soullee B direbbe “Roots and Culture, man!”. Preso alla lettera. Radici e cultura.
Ci sono dei precedenti!! Il vocal drumming nei gruppi acapella e lo skat nell’ era del Bibop ad esempio. Nella storia della musica documentata e reperibile nell’ultimo secolo ricorre sempre la necessità artistica di confrontarsi con lo strumento. Imitare lo strumento. Sostituirsi allo strumento. Al suono. Lo stesso strumento costruito dall’uomo. Come se alla fine fosse lo strumento stesso a voler imitare il pensiero dell’uomo e non il contrario. Non smetterà mai di affascinarmi questa visione rovesciata. A volte mi capita di esibirmi in festival dove ci sono più e più gruppi, strumenti ovunque sul palco, cavi, gente che ti gira attorno… e io mi soffermo sempre un minuto abbondante ad ammirare “Sua Altezza La Batteria” che a sua volta se ne sta lì tranquilla a guardarmi come se fosse incuriosita dal mio soundcheck. Divagazioni romantiche. Scusate.
Tornando allo skat, prendo come esempio due artisti che ne hanno fatto una propria peculiarità: Ella Fitzgerald e Mel Tormé. Fermatevi un attimo e guardate questo video di pochi minuti:
E’ un esempio lampante di come i due dialoghino tra loro esattamente come farebbero 2 trombettisti, sullo stesso medesimo brano. Si annulla il concetto di parola, si prendono le sillabe, si affinano i suoni, si creano dei ritmi. Il beatbox in sintesi si può definire così. Sostituirsi agli strumenti, diventare musica. Nella sua evoluzione ha praticamente cancellato il concetto di scatola umana del ritmo per avvicinarsi sempre di più a quello di scatola umana della musica. Chiaramente stiamo parlando di qualcosa di così tecnicamente e ideologicamente estremizzato da non somigliare nemmeno più lontanamente a Ella negli anni ’50. Nè agli esordi di Doug E. Fresh negli anni ’80. Mi sembra chiaro, e normale. E’ l’evoluzione.
Il risvolto negativo invece è che purtroppo è cambiata l’attitudine artistica musicale. Manca lo studio, il rapporto con lo strumento (in questo caso, con se stessi). Oggi è tutto diverso: il beatboxer medio moderno impara a fare quello che fa guardando altri beatboxer su youtube, che magari a loro volta hanno imparato da altri beatboxer su youtube, e così via. Non è la regola eh. Per fortuna. Purtroppo però rappresenta una media molto alta. Dico purtroppo perchè io avendo vissuto l’input in un altro periodo storico e tecnologico (ed erano solo 13 anni fa) ho potuto provare su me stesso la sperimentazione, l’errore, il gusto dell’imitazione dello strumento, la sfida personale. Tutt’altro concept da quello odierno. Quando ho iniziato io, youtube non c’era. C’erano pochi beatboxers nel mondo e non ci conoscevamo l’un l’altro. Non c’era confronto, l’unica cosa con cui ti potevi confrontare erano i giradischi, i vinili e le cassettine che ti piovevano dal cielo con l’ultimo disco di Redman e 1 ora di cuts degli Invisibl Skratch Piklz. C’erano i breakers il sabato pomeriggio sotto i portici con le musiche di James Brown e si imparava il suono del rullante, da come il rullante veniva suonato da Clyde Stubblefield (il batterista di James Brown).
Questo non fa di me una persona o un artista migliore, non voglio dire questo. Nè sto giudicando un modo che sicuramente è figlio del periodo e non della naturale necessità artistica. Il mio è esclusivamente un consiglio a poter fare meglio. Ancora meglio. Oggi è possibile, la musica è più facilmente reperibile di 13 anni fa. Meglio provare a imparare il suono dall’originatore del suono stesso che dall’imitazione dell’imitazione dell’imitazione. Telefono senza fili docet.
Per me aver approcciato allo studio del beatbox, cercando di imitare la musica partendo dalla musica e non da altri beatboxers, penso faccia di me (e di quelli che hanno fatto lo stesso percorso mio) un artista diverso, non migliore, questo è innegabile. Non è una questione anagrafica, tutt’oggi uso youtube, ampiamente, ma per cercare Roots and Culture. Per studiare suoni. Potrei studiarmi ore di tecniche degli altri beatboxers, e invece no. Non voglio correre il rischio di essere influenzato dagli altri e soprattutto non voglio somigliare a nessuno. Minimamente. Youtube in questo senso è veramente un’arma a doppio taglio. Tornando a Clyde Stubblefield e ai motori di ricerca….
I primi 40 secondi di questo video, sintetizzano esattamente quello che ho provato a dire con un milione di parole, aneddoti e spiegoni. Ci tengo a precisare che lui è “IL BATTERISTA”, nato con un talento evidentemente abbastanza mostruoso da farne uno dei batteristi più rappresentativi di sempre. Quando dice di non conoscere una nota ma di saper giusto contare fino a 4 (e tutto quello che succede nel mezzo), probabilmente è vero. Non lo condivido in assoluto in questo senso, ma rispetto l’onestà intellettuale di uno che mi dice che è tutto frutto dell’istinto e dell’allenamento. Io ad esempio vengo dal pianoforte, dalla musica classica: ho studiato la teoria, conosco le note, le armonie, le scale e gli spartiti. E posso dire che è la cosa che più mi aiuta in assoluto da quando ho iniziato a fare beatbox. Quando non so come uscirne…ricorro alla teoria. Suggerisco a tutti i beatboxers, o futuri beatboxers, di studiare un po’ di teoria, uno strumento. Di suonare con i musicisti. Il rapporto con uno strumento e con altri musicisti ti cambia totalmente il punto di vista.
Come sospettavo non sapevo di cosa avrei scritto, conoscevo solo il soggetto. Magari nei prossimi articoli troverete “l’alimentazione corretta del beatboxer modello” e “l’oroscopo di Alien Dee”. Speriamo di no. Magari faccio un bel trattato sulla microfonia, che ne ho cambiati e demoliti così tanti di microfoni che un paio di nozioni a riguardo le dovrei sapere.
Grazie e alla prossima.