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MUSIC

Beatbox – Chapter 2: Micro Fonia



Secondo capitolo. Come preannunciato nel precedente, probabilmente parlerò di microfonia. Già leggo la noia nei vostri occhi… lo so, forse entro nel tecnico, o meglio nel tecnologico, troppo presto, ma è una cosa che mi sta facendo diventare sufficientemente matto da così tanti anni che non posso non doverla condividere subito. Già nel primo articolo mi sono trattenuto e avrei iniziato a parlare di microfoni al secondo verso, subito dopo essermi presentato. Questa volta non ce la faccio, devo parlarne. Per forza.

Devo prima fare un paio di premesse prima di iniziare a toccare il tema tecnologia. Dunque…

Mi chiamano da anni più o meno frequentemente a tenere dei seminari/workshop sul beatbox, percussioni e tecniche vocali, studio della voce, ecc, ecc. Mi sono capitate platee da un paio di centinaia di persone, classi da 10, 25, 50 persone e altre volte da 2/3 ragazzi, in diverse zone d’Italia e in alcune città d’Europa. Accolgo sempre l’audience con la seguente cosa scritta sulla lavagna: THE HUMAN BEATBOX (con relativa traduzione ing-ita quando in Italia) e subito sotto… IL BEATBOX NON SI PUO’ INSEGNARE. Dopo quei 5-6 secondi di silenzio, sgomento e ciglia aggrottate parto prontamente con lo “spiegone” per avvalorare la mia tesi. La mia tesi incredibilmente prende sempre il 100% dei consensi. La mia tesi… prendi 4 persone qualsiasi, le metti in fila e fai dire a tutti di seguito la stessa parola. Suonano uguali? NO! Sono tutti diversi (altezza, sesso, cassa toracica, dentatura, muscoli facciali, cavità nasale, dialetto, dizione, genetica, ecc)? SI!

<<Ehi Alien ma perché dici sempre che sei contrario ai tutorial online sul beatbox??!>>.
<< Indovina! >>
.

Non è che sono esattamente contrario, capiamoci, sotto l’aspetto della divulgazione li trovo molto utili, interessanti e ringrazio e rispetto chi li fa. E’ che in un certo senso li trovo pericolosi, nel senso didattico del termine. Un tutorial di beatbox, non prende mai in considerazione la morfologia dell’ascoltatore, ovviamente, e banalmente, per il semplice fatto che di fronte allo schermo si soffermerà l’ascoltatore X.

L’ascoltatore X è definito X proprio perché non saprai mai chi è, com’è fatto. E’ impersonale ed omologato allo stesso tempo. E’ X.

Faccio un esempio contrario (è un esempio che sto facendo al volo, non cercate su youtube), col video “come suonare l’arpeggio di Do Maggiore su un pianoforte”. Il pianoforte suona da solo: dito, tasto, nota, fine. Indipendentemente dal fatto che il dito sia scandinavo, tozzo, dritto, mediorientale, il mio o di Duke Ellington. O che sia la punta di un flauto a suonare il tasto. O un gatto che ci passeggia sopra. Differisce solo per la marca che lo produce. Se è a coda, mezza coda, verticale, il tipo di legno… Può avere un suono più o meno bello, ma l’accordatura sicuramente identica. 4/5 varianti “estetiche” di uno strumento esistente… Sostanzialmente l’arpeggio di Do Maggiore quello è e quello rimane, anche se è il gatto a suonarlo ed è stato così bravo e fortunato da suonare di seguito Do, Mi, Sol, Do.

L’essere umano è un contenitore con infinite variabili e soprattutto non è uno strumento esistente. Non è omologato. Non ha canoni costruttivi di alcuna sorta. L’essere umano non è uno strumento ma può diventare uno strumento. Il pianoforte non può diventare un essere umano. Io non insegno mai il beatbox perché il beatbox non si può insegnare, io insegno a studiare il beatbox. Fine dello “spiegone”.

Cosa ha a che fare tutto ciò con i microfoni? Bene. Iniziamo con l’ etimologia del termine MICROFONO: micro– (dal greco) “piccolo” e –fono (dal greco) “suono”. Definizione da vocabolario: dispositivo per convertire le onde sonore in corrispondenti variazioni elettriche.

La conversione è un problema.

Il fatto stesso che ognuno abbia una propria infinita possibilità di riprodurre lo stesso medesimo suono, rende innanzitutto subito valida la mia teoria sui tutorial, e fa della complessità e della variabilità dei suoni riproducibili, materia di interesse e approfondimento nel campo della microfonia. Racchiudo questo pensiero in un’unica parola perché ho usato una grammatica stramba e complessa: FONDAMENTALE.

Fare beatbox in una stanza, in uno spazio ridotto (o cantare, parlare, ecc) è il modo naturale in cui le onde sonore vengono emesse da una persona e dirette a degli ascoltatori. Fare beatbox sul palco di un locale (piccolo o grande che sia) è il modo naturale per non farsi sentire dal pubblico e scatenare il lancio di bicchieri. Serve un microfono. Servono delle casse. E fin qui nulla di nuovo. Ora…. delle casse di un locale, teatro o stadio, non possiamo essere responsabili, l’auspicio è sempre quello di trovare il top. Della scelta del proprio microfono, invece, dobbiamo essere responsabili eccome! E’ lo strumento che converte anni di studio del suono e gola ridotta a pezzi e ci mette nelle condizioni di arrivare al tuo pubblico. Deve essere perfetto, deve convertire senza distorsioni e falsi suoni quello che emetti. Impeccabile. Ecco… la conversione è un problema.

E’ in commercio questo microfono? Forse.

Esistono varie tipologie e tecnologie di microfoni, non sono nemmeno sicuro di conoscerle e averle provate tutte. Premessa: non parlerò di marche e modelli. Non sono un commerciante, non vengo pagato per parlare bene o male di un modello o dell’altro, di conseguenza non mi sento né in dovere di farlo, né di prendermene la responsabilità. Mi soffermerò sulle diverse tecnologie e farò delle considerazioni. Wikipedia è abbastanza esaustivo sulle tipologie, se volete documentarvi eccovi il link: http://it.wikipedia.org/wiki/Microfono. Ne evidenzio 3 che conosco mediamente bene: a condensatore, dinamico, a nastro. Parto dall’ultimo, il microfono a nastro. Ha come caratteristica quella di essere un microfono generalmente ad ampissimo spettro di frequenza e con una capacità di traduzione del suono altissima. Un bellissimo suono. Ha una pecca grave, per il beatbox intendo. Dopo 5 minuti che lo guardi perché non vedi l’ora di usarlo, lui si umanizza, capisce cosa vorresti farci e si rompe. Per fortuna c’è sempre il proprietario del microfono in questione che ti ricorda esattamente quante banconote da 500€ gli è costato. Troppo fragile. Peccato. Dinamico e a condensatore sono quelli invece su cui ho anni e anni di esperienze dirette. Il dinamico ha generalmente il grande vantaggio di essere resistentissimo; il beatboxer mediamente imprime una pressione sonora di gran lunga molto superiore a quella di un cantante ad esempio. Una pressione sonora più vicina a quella della grancassa di una batteria per intenderci. Ha come difetto generale invece, quello di avere una gamma di frequenze limitata; in linea di massima i microfoni dinamici oscillano più o meno tutti tra i 50Hz e i 15/16KHz. Sotto i 50 non riproducono (o quasi) alcun suono, stessa cosa sopra i 15/16 mila. Che tra l’altro sarebbero già più che sufficienti. Vado a spiegare: le ampiezze delle onde sonore sono misurate in Hz (per l’ appunto l’unità di misura della frequenza) e l’orecchio umano è in grado di percepire suoni dai 16Hz ai 20.000Hz . “E’ in grado” vuol dire che è un organo “capace di”, ma fattori come l’età, ad esempio (e una serie di altri) ne riducono o variano le possibilità. Le frequenze contenute tra i 50 e i 16000 (o poco meno e poco più) garantiscono quindi l’udibilità alla massa. Seconda cosa: la voce umana sia nel canto che nel parlato registra mediamente uno spettro di frequenza ampio ma abbastanza limitato, sia nelle donne che negli uomini. Tolti i record raggiunti (il caso su un miliardo) più o meno rispecchiano “l’andamento commerciale” delle risposte in frequenza dei microfoni che troviamo in vendita.

Ok, forse ho smesso con la parte noiosa e numerica.

Qual è il problema di un microfono dinamico quindi? E’ resistentissimo alle pressioni sonore, ma è limitato nelle frequenze che supporta. Direte “chissenefrega! E’ frutto di anni di studio sulla voce umana no?”. No. Perché ci sono beatboxer in grado di superare i limiti di fabbrica, per il semplice motivo che magari stanno imitando uno strumento che in genere supera le frequenze note della voce, o ha delle caratteristiche che la voce generalmente non ha. Io spesso mi sento limitato. E’frustrante. Il microfono a condensatore gode invece di caratteristiche sonore più simili a quello a nastro e capacità di rispondere a frequenze anche dai 20 ai 20000 Hz (dipende da modelli e marche). Allo stesso modo sono particolarmente sensibili e fragili. Non come quello a nastro ma comunque fragili. Vi faccio un esempio sulla mia esperienza: 3 anni fa ero artista endorsed di un noto brand di microfoni ed usavo un microfono a condensatore, risposta di frequenza 20-20.000 Hz, prezzo commerciale 700€ circa. Un gioiello della tecnologia, mi manca, sicuramente il miglior microfono che ho portato con me su palco e in studio. Suono perfetto. Quello che facevo io era esattamente quello che mi ridava lui. Peccato che ho rotto la capsula a 2 microfoni nel giro di 1 anno e mezzo scarso, con tanto di tecnici tedeschi che non si capacitavano di come io ci fossi riuscito. In realtà non trovavano nemmeno il punto di rottura. Eppure… non suonava più le basse frequenze. Dunque, il microfono a condensatore sarebbe senza dubbio la migliore soluzione in termini di qualità sonora. Tant’è che lo è per i cantanti e per la maggior parte degli strumenti quando necessitano di essere amplificati. Lo è negli studi di registrazione. I microfoni a goccia degli studi di registrazione sono a condensatore (e qualcuno, raramente, a nastro). Peccato per la fragilità.

La migliore combinazione sarebbe poter unire la resistenza di un dinamico alla capacità di conversione di un condenser. Un microfono che ha queste caratteristiche effettivamente esiste! Dei geni della tecnologia di una notissima marca di tools per la musica (ma non famosi per la microfonia, ecco perché non lo conoscevo) da qualche decennio si sono inventati e producono un “gelato” dinamico, con caratteristiche di risposta di frequenza da condensatore, 20-20.000Hz! BINGO! Questo è stato l’ ultimo microfono che ho avuto. Il migliore in assoluto che ho avuto negli ultimi anni. Un oggetto da non crederci….finché 2-3 mesi fa, mi ha abbandonato, dopo aver iniziato a dare comunque segni di cedimento dopo un annetto e mezzo. Già, perché, ovviamente, non essendo mai stato studiato un microfono per un’arte come il beatbox, non sono mai state valutate le incognite dell’utilizzo su uno strumento in modo non convenzionale. Non è mai stato valutato che il beatboxer è la cosa più vicina al concetto di lumaca affetta da eccessiva salivazione che possa esistere. Sbaviamo come 8 persone insieme. Le parti interne del microfono col tempo iniziano ad arrugginirsi, la capsula si satura non appena si crea un varco nelle membrane, inizia a oscurare sporadicamente alcune frequenze (generalmente parte dalle frequenze alte, addio suoni squillanti), finché non ti trovi un giorno durante il sound check della festa del decennale di Gold al Viper che non suona più quello che stai suonando tu, spariscono i bassi e inizi a piangere a dirotto. Ciao microfono, grazie per i momenti insieme.

Ad ogni microfono, purtroppo manca la possibilità di poter fare manutenzione ordinaria frequente. Griglia e anti-pop si possono lavare facilmente quasi su ogni mic, anche tutti i giorni.
La capsula comunque sia, la saluti dopo qualche mese perché non puoi “de-salivarla”.

Il microfono da beatboxer esiste? Forse. C’e’ stato un primo esperimento fatto da BeeLow, beatboxer e capo supremo della Beatbox Battle Network, organizzatore di eventi, battles mondiali, ecc. E’ un microfono dinamico, 70-20.000Hz…aspetta…70? Le fondamentali di basso e cassa a volte toccano dai 50Hz in giù!! Io alcune mattine mi sveglio nell’albergo di turno dopo tre ore di sonno e 4 giorni di live…. faccio i 40Hz per chiedere un caffè…Peccato. Ottimo tentativo, ma si poteva fare forse di meglio. L’ho provato più volte, è freddo…dopo 3 minuti mi spazientisco. Inoltre scommetto che se ci fai 50 date l’anno come capita a volte a me, più recording session da 6 ore alla volta, più allenamento quotidiano, anche quello ti si scioglie in mano corroso dalla saliva dopo meno di un anno.

C’è un altro modello poi di un’altra marca famosissima per la qualità dei propri microfoni che ha fatto un dinamico a “pallina”, suggerito per il beatbox per l’impugnatura SCORRETTA ma molto
YO!”, tecnologia a cardioide…e poi? Frequenza 50-16.000Hz. No comment.

Il beatbox è un’arte fatta di studio, timbri, sfumature e ricerca della perfezione, o meglio, così è come secondo me dovrebbe essere e come l’ho inteso io. Serve uno strumento che rispecchi e rispetti tutto ciò. Il continuo adattarsi, parlo per me, sta diventando un po’ frustrante. Stiamo parlando dello strumento che ci porta e ci portiamo su un palco. Un chitarrista può scegliere tra almeno 100 chitarre diverse, io ad oggi ho trovato solo un mic vicino alla perfezione. Ma con alcuni difetti.

Caro produttore di microfoni nel mondo, se stai leggendo questo articolo, usi Chrome e hai accettato che Google ti faccia la traduzione corretta nella tua lingua, contattami, forse la mia esperienza, le mie considerazioni e la tua tecnologia potrebbero unirsi nel concepimento del microfono perfetto. Sarebbe anche terapeutico nel mio caso.

Ciao, sono Davide, ho 32 anni, sto al 13° anno di studio del beatbox, sono un nerd della MICRO FONIA, e non riesco ad uscirne… Peace.