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SECONDA PARTE
Credo che questa ricerca interiore per scrivere un album sia in realtà una ricerca che adesso stiano facendo un po’ tutti (nell’underground). Gli artisti tendono ad essere più introversi e magari a portare degli aspetti nei dischi che magari prima non avrebbero mai portato e ad essere più “nudi”. E penso che questo sia un aspetto positivo perché poi alla fine il risultato viene apprezzato nel momento in cui vedi l’artista che si racconta, piuttosto che una roba spaccona. Ho notato che in questo periodo, tutti tirano fuori se stessi.
Penso sia vero e penso ci siano diverse concause. In primo luogo la maggior parte degli artisti a cui ti riferisci, molto probabilmente sono persone che stanno facendo rap da un po’ di tempo ed è probabile che una serie di argomenti spacchiusi, di egotrip, ecc. siano un po’ consumati e noiosi da rifare, quindi nella ricerca di possibilità nuove, sicuramente andare a pescare nel proprio vissuto è una delle prime cose che ti viene in mente e anche delle più utili da fare. Secondo, ad un certo punto del percorso di un musicista succede che devi fare i conti con il tessuto autoriale in cui sei cresciuto e quindi era abbastanza naturale per noi rapper italiani, finire con l’assomigliare a quello che è il nostro percorso del “cantautorato” italiano degli ultimi trenta, quarant’anni dove i picchi massimi ce li hai con gente che è riuscita a scrivere delle cose molto minute, dettagliate, in cui però l’ascoltatore riesce a riflettersi. Tanto più è minuscolo il dettaglio, tanto più è forte il senso di empatia che si sviluppa con l’ascoltatore, quando l’immagine è giusta ed è raccontata bene.
Quando è Finita, L’Arte di Essere Felice, e Smettiamo Un Po’ hanno lo stesso argomento di natura sentimentale, ma hanno un contenuto totalmente diverso. Perché?
Per esplorare le situazioni intorno alla tematica. Non volevo fare dei brani che avessero una linearità cronologica, che potessero essere messi uno di seguito all’altro come un racconto. Sono tre cose distinte e tra l’altro non sono neanche necessariamente realistiche dall’inizio alla fine. Sono molto più un collage di diverse situazioni, differenti sensazioni e spunti che sono verosimili perché ripresi dall’esperienza, ma quello che succede in un brano non è detto che mi sia successo all’interno della stessa “storia” che ho vissuto io.
Fuck Your Party è il pezzo un po’ coatto (bellissimo) ed è una sorta di La Grande Bellezza versione rap. Per quale motivo hai deciso di scrivere un pezzo così?
Avevo qualche base di Turi e quella aveva il suono che mi convinceva di più; aveva però una natura molto diversa dal resto dei beat dell’album, per cui gli andava trovata una collocazione a sè stante. Dato che non sono comunque nuovo a brani così (cazzeggioni, scherzosi… anzi mi piace moltissimo fare i pezzi idioti), mi sembrava opportuno, in un album ufficiale uscito con Macro Beats, inserire una traccia di questo tipo che rimandasse ad una parte della mia storia rap. Quindi Jesto ci doveva essere per forza, perché è collegato a quella parte della mia storia rap (oltre al fatto che ci sta bene su una base così fresh, moderna); e poi essendo io uno che preferisce giocare sul contrasto quando possibile, ho pensato che E-Green (che conosco e frequento e che comunque ha nelle sue corde questo carattere di “combina-guai”), ci stesse bene perché è una di quelle persone che effettivamente lo immagini al vernissage di una galleria con la boccia di scotch in mano: il risultato è quello là.
Anthem è feat Kiave e Mistaman. Tu sei stato coinquilino di Mirko (Kiave ndr) per un anno. Vivendo insieme si tende a condividere molto e quindi mi chiedevo come (ad esempio) avrebbe potuto svilupparsi il processo creativo per comporre un pezzo insieme.
Con Mirko siamo amici da molto prima chiaramente. Siamo andati a convivere perché già sapevamo di trovarci bene. Ma una delle caratteristiche peculiari di quella convivenza è che non abbiamo fatto musica mentre eravamo là. Anthem è stata composta successivamente. Tuttavia, io e Mirko in quel periodo potevamo fare un album incredibile, e invece… da bravi coglioni non l’abbiamo fatto.
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