Quanto senso ha parlare di SIAE e di monopolio se, oggi, un colosso di oltre un secolo è minacciato (in positivo) da startup come quelle dei ragazzi di Soundreef, italiani a Londra?
Potrebbero rivoluzionare il monopolio SIAE perché solo due mesi fa il Tribunale di Milano ha confermato che “non sembra possibile affermare che la musica gestita da Soundreef in Italia, in centri commerciali e simili, debba obbligatoriamente essere affidata all’intermediazione della SIAE”.
Davide D’Atri e Francesco Danieli hanno collezionato adesioni su adesioni, come quella di più di 30mila cantanti “indie”, senza major alle spalle.
Il refrain del diritto d’autore e della musica va avanti dal boom di Internet e il Parlamento italiano non sembra restio ad allungare la vita del copyright. Aumentano infatti gli acquisti di musica in streaming e ormai impedire l’accesso a un sito pirata non si sa quanto sia efficace, dato che il mercato unico nell’eurozona, in fatto di musica, è un pilastro.
Una volta approvata la direttiva Barnier, le società di gestione collettiva dei diritti potranno operare su tutto il territorio dell’Unione Europea e gli artisti sceglieranno liberamente se attaccarsi al serbatoio della SIAE o cambiare “poppa”.
Solo ieri, si leggeva nell’aspra circolare che il Direttore Generale della Siae, Gaetano Blandini ha inviato a tutta la rete territoriale della società: “Spiace dover constatare che, proprio in concomitanza della prima campagna istituzionale mirata a valorizzare il ruolo che Siae riveste nella tutela del diritto d’autore e della cultura e ad accreditare l’immagine reale della nostra Società, che è ben diversa da quella dell’esattore, si verifichino episodi come quelli segnalati dalla stampa, che possono essere strumentalmente additati come frutto di una cultura intimidatoria nei confronti dell’utenza”.
Nel caos della riforma della SIAE (Società Italiana Autori ed Editori), a rimetterci, in un primo momento, potrebbero essere ottimi artisti rappresentati da etichette con cui il dialogo appare poco chiaro.
L’esempio di Kappa Management è lampante: quando ha annunciato la ristampa deluxe in vinile di Melma & Merda sono partiti a razzo subito due comunicati stampa da parte di Kaos One e di Sean, praticamente due spicchi del gruppo Melma & Merda. Si sono detti estranei all’operazione di ristampa. (Dalla pagina Facebook): “Ciao. Mi hanno segnalato l’uscita di un vinile di un mio vecchio lavoro, di cui non so nulla e di cui prima o poi mi occuperò. Nel frattempo, ognuno faccia come crede, basta che non mi chiedete di metterci una firma sopra perché ve lo rigo. Ciao k”).
Di fatto, Kappa Management, detentrice dei diritti del disco, ha avviato una ristampa in vinile, pur sapendo che la prima edizione è stata una sorta di “test” a tiratura limitata. La recriminazione: “… I conti economici che io ho sostenuto per il disco Melma & Merda, compreso il tuo lauto cachet, sono ancora lì che chiedono vendetta visto che il disco quando uscì vendette 780 copie , e per andare in pari con i costi sostenuti per la produzione discografica ne dovevo vendere 3000. Ma nessuno è venuto a chiederti indietro quello che ti avevo dato, perché il disco andò malissimo”.
La domanda, in questo gioco a specchi di copyright e diritti, è: si può ristampare un “classico” (che sia un insuccesso oppure un fenomeno d’incassi) senza l’autorizzazione degli artisti? Non è forse una giostra che va avanti da troppo, da almeno 10 anni, quando l’etichetta Minoia Records, acquisiti i diritti di SxM dei Sangue Misto da Century Vox, editò grafica di DeeMo e, si legge sul web, “alla chetichella”, ributtò fuori il disco nei negozi?
E’ il tramonto della SIAE? La musica è di chi la crea o di chi ne detiene i diritti? E soprattutto, a chi appartiene oggi la musica, davvero?
A voi la parola.
– – –
Leggi anche: Parla KaosOne, il Don dell’hip-hop italiano