Scopri l'universo
espanso di Gold
Gold enterprise
Goldworld Logo
NON ESISTE NIENTE COME NOI, TRANNE NOI
STORIES

Immigrati, o dove ci porta il business dell’odio



Articolo personale di Mirko P. Monti

Premessa:

I miei nonni hanno fatto la guerra. L’hanno vissuta sulla loro pelle. Mia nonna aspettava il ritorno di mio nonno da Marsala, in Sicilia, dove era stato inviato con la Marina Militare. Non so come, non so quando, mio nonno tornò, si sposò con mia nonna e dopo poco nacque mia madre. C’erano ancora il Re, il Duce, Baffino in Tedeschia e la Linea Gotica alla porta di casa. Ne parlavano spesso, i miei nonni, della guerra, dei tedeschi e del Duce. E qualche volta, mentre lavorava nei campi, l’ho anche sentito cantare Faccetta Nera, mio nonno. Mi sono chiesto spesso perché avesse combattuto una guerra dalla parte sbagliata e nonostante questo ne avesse un ricordo piacevole. Che mio nonno appoggiasse l’ideale fascista? No. L’ho capito più in là, crescendo, che questi ricordi erano vivi in lui quanto la gioventù che gli ricordavano, e non per il contesto di guerra e miseria che lo circondava. La guerra gli aveva lasciato un minimo di pensione, un clarinetto suonato nella banda della marina venduto dopo il congedo, una figlia da crescere e l’odio verso l’olio di ricino. E, forse, qualche morto sulla coscienza.

Nella mia famiglia ci sono stati molti casi di emigrazione.
Alcune sorelle di mia nonna paterna partirono per l’Australia in cerca di fortuna.
Il fratello di mio nonno, dopo la guerra, si è sposato ed è emigrato in Canada, dove ha vissuto per tutta la vita. Suo figlio, medico, ha ricoperto cariche di rilievo nel Ministero della Salute canadese.
Il fratello di mia nonna, invece, è partito da scapolo, prima stabilendosi in Canada per poi trasferirsi in California e sposarsi con una emigrata tunisina. Insieme ad altri connazionali aprì un’attività di importazione di prodotti alimentari italiani. Per lui non importava il colore della pelle, le persone si dividevano a seconda di dove vivevano. Un aneddoto: nei primi anni novanta, prima di tornare in vacanza in Italia, mi chiese cosa doveva portarmi in regalo: io risposi Doggystyle di Snoop Doggy Dogg. Quando mi portò la cassetta, mi disse che lui non era libero di passare in macchina nei quartieri dove viveva Snoop perché non era un posto sicuro. Mi disse anche che in altre zone se qualcuno avesse chiesto aiuto per un malore non si sarebbe fermato, perché in alcuni quartieri è all’ordine del giorno fingere per poi rapinarti. Senza distinzione di colore di pelle, solo di zona.
Nella seconda metà degli anni ’60, mio padre partì con suo fratello per andare a lavorare in Svizzera, dove montavano i ponteggi nei cantieri. Vivevano in baracche di legno, lavoravano molte ore al giorno e in caso di proteste venivano aperti gli idranti, con una pressione da strapparti i vestiti di dosso.

Fine della premessa.

La politica, se fatta con lo spirito giusto, è la più nobile delle arti. Impegnarsi per il bene comune, spinti dal senso civico e dall’amore per la comunità, eleva lo spirito ad un livello superiore. Se si è spinti, invece, dal portafoglio, allora non si fa politica, ci si limita a fare i propri interessi e ad elevarsi è solo il conto in banca. Per questo della politica attuale me ne importa una onorevole cippa.

Siamo tutti a conoscenza dell’emergenza immigrazione, tutte le televisioni ne parlano più volte al giorno, perfino a Studio Aperto i servizi sul caldo estivo e sul tormentone musicale dell’estate lasciano spazio a notizie di sbarchi e interventi politici. Chi ha ragione? Chi li accoglie o chi affonderebbe i barconi? Informatevi, andatevi a leggere normative e atti e datevi una risposta, io la mia non ve la do, ce l’ho e me la tengo stretta, ed è frutto di ricerche e delle esperienze in premessa, che indirettamente mi hanno formato. Informatevi.

La disinformazione genera ignoranza e sull’ignoranza si fonda il business dell’odio.
Fino dagli anni 90 il mio paese, immerso nella Garfagnana, ha accolto molti immigrati: prima provenienti dall’Albania poi dall’Africa. Oggi abito in una realtà multietnica: per strada posso sentire chiacchiere in dialetto paesano o garfagnino, tanto comuni quanto come l’albanese, il rumeno o il cinese. Ho vicini di casa cubani e inglesi e bimbi marocchini che giocano con mia figlia, questa è la mia normalità. Alcune associazioni, in paese, si sono poi adoperate per accogliere immigrati dell’ultima ora gestendoli grazie ai fondi messi a disposizione dallo stato. Qualche ragazzo di questi si è poi impegnato in attività di volontariato promosse dal comune al fianco di altri abitanti, come ad esempio la pulizia di alcune strade.

In questi giorni un’organizzazione politica estremista ha affisso uno striscione alle porte del paese con scritto a grandi lettere “Basta Clandestini”, utilizzando il carattere tipico di alcuni striscioni da stadio simpatizzanti per una certa fazione politica, chi vuole intendere intenda. Dopo una mezza giornata in cui non ho sentito o letto un solo commento a riguardo, scrivo un post sul gruppo Facebook del paese dove dico che, secondo me, in quella zona avrei preferito qualcosa che valorizzasse l’ingresso al paese piuttosto che quel messaggio, senza entrare in merito alla correttezza o meno dello stesso.

Da alcuni commenti è emerso che il business dell’odio sta dando i suoi frutti. Chi ha messo lo striscione ha giocato tutto sull’ignoranza che gira intorno al termine Clandestini, confuso dai più con Immigrato o con Profugo e preso erroneamente a sinonimo di questi.

Qui abbiamo immigrati che hanno richiesto asilo politico, non clandestini, che non avrebbero diritto all’ospitalità.

Ma è più facile invidiar loro un tetto temporaneo e un cellulare usato, ed è ancora più facile indurre per questo la popolazione all’odio.
Non è passato più di un secolo da quando parte della mia famiglia è andata a cercar fortuna altrove, e nemmeno da quando i soldati di colore combattevano in queste zone per la nostra libertà. Ci sono mille mila problemi in Italia, ed il più grosso non è questo. Quel Basta Clandestini è stato una banalità, pura demagogia a fomentare l’odio, tanto corretto in quanto la clandestinità è per definizione illegale quanto fuori luogo perché rivolto a chi clandestino non è. Che poi, se questa gente sapeva giocare a pallone o aveva il culo di Belén il problema non sussisteva.