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Cinema

Numero Zero e gli stranieri che hanno creato il rap in Italia



Lo zero è la partenza.

Una sala in cui si spengono le luci, lo schermo si accende e le facce
che raccontano sono illuminate non dalla proiezione, ma dal proprio
ricordo.

E’ una finestra che si apre sull’animo attraverso il linguaggio non
verbale: i protagonisti vengono ripresi nei momenti di pausa in cui
si smarriscono nelle immagini del proprio vissuto e mentre la loro
voce continua la narrazione, la telecamera si sofferma sulle pieghe
del viso, sulle labbra increspate, sul sospiro silenzioso.
Una figura che apre un garage e dà avvio ad una storia: quella che
fino ad oggi è stata ignorata dal grande pubblico, che si è ritrovato
ad un certo punto ad ascoltare in radio un rap che si crede
culturalmente distante, quando invece anche in Italia ha avuto una
nascita fiera.

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Ciò che oggi è percepito come superficiale (così reso dai meccanismi
dei media) nasconde radici profonde, che in alcuni casi vengono
mantenute tuttora in un sottobosco, sempre meno sconosciuto.
E così quel personaggio incappucciato che presta la propria voce ad
una narrazione, con piccoli gesti divide i capitoli di questo film,
che si suddividono in aneddoti legati ad un territorio che non si
focalizza specificatamente ad un singolo luogo, ma ad un nucleo che
lentamente si espande per fare di una nazione il proprio palco.
Un inizio che è stato incoraggiato da una tradizione importata, ma che
è stata adattata ad un’Italia degli anni 80 che necessitava di una
forma di espressione che fosse complessa ed esprimesse un messaggio
diverso.
Quel messaggio che doveva allontanarsi così tanto dallo stereotipo e
l’omologazione che finisce per arrivare al picco della diversità con
Chicopisco.

Un Neffa inizialmente invecchiato, ma che da metà film in poi ritrova
lo splendore di quella giovinezza che ha sfruttato nel differenziarsi
e nel raccontarla si riconosce come autentico, spiegando il perché
dell’ultimo disco rap, di come si sia alzato di scatto in una Fattanza
Blu
, di un Fritz Da Cat che compare inaspettato nelle sue rime
criptiche.
Nell’alternarsi di un giovanissimo Ice One che specifica che Seby è il
suo nome ed è per quello che lo scrive, di un Tormento MC dell’amore,
di un ceruleo sguardo sospettoso dietro a delle lenti, di un
calligrafo elegante che sfidava il buio, di un Fibra marinaio, di un
Danno verace che iniziava a portare il messaggio di solo fumo e vino e
molti altri, si crea un mosaico di ciò che è stato uno spaccato
affascinante di una cultura nostra e di nessun altro.

È un’analisi storica, ma che ad ogni minuto diventa sempre più
personale, arrivando alla fine a far intravedere l’animo di chi ha
raccontato qualcosa di cui è orgoglioso.

È un film con un’identità ben definita dai molteplici caratteri che
si espongono, che si assemblano in un unico flusso di aneddoti.
È un film che fa ricordare a chi c’era ed immaginare vividamente chi
invece è arrivato dopo.

Il regista Enrico Bisi è riuscito a catturare negli occhi di chi gli
parlava una scintilla, mista ad eccitazione e malinconia, che è stata
percepita da chiunque seduto in quella sala del Cinema Farnese.
Oltre al racconto di quegli artisti è stato trasmesso qualcosa di più
profondo: la loro storia, che è diventata “la storia” del rap italiano
è stata la costruzione di una cultura che è arrivata dove loro
presuntuosamente si aspettavano e ne sono fieri.

Numero Zero è una rete di emozioni che pretendono di essere
tramandate, a volte con il solo sguardo di chi in una pausa ricalca il
suo percorso, fissando un punto che per tutti gli altri è sospeso nel
vuoto e che al suo termine cerchi di convincere te stesso che “no, non
è una lacrima”
.

L’EVENTO – QUI