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Razionalità e Istinto: un divorzio all’italiana (2 di 2)



Riprendiamo dalla settimana scorsa e chiariamo una cosa: la paura ci salva la vita, e il panico ne è la sua forma estrema.
La differenza tra andare nel panico e subire un “attacco di panico” è che nel primo caso la minaccia è visibile (un incendio) mentre nel secondo non è visibile o addirittura non esiste.
Questo complica le cose: se nell’esempio dell’incendio può essere sufficiente urlare e correre, per l’attacco di panico non c’è un posto dove scappare.

Il panico ha una funzione molto importante per l’uomo: bypassa qualsiasi norma sociale.
Quando il livello della minaccia è abbastanza elevato non ci curiamo di camminare sopra ad altre persone, di comportarci come dei folli o di prendersi l’ultimo paracadute rimasto senza fare complimenti.
E’ brutale, ma è necessario per sopravvivere.
Durante l’emergenza succede quello che nei software si chiama “Override”: il panico prende il comando, e lascia a noi il compito di convivere, in futuro, con i comportamenti attuati durante un pericolo.

Il fatto che una parte della nostra mente agisca senza il nostro controllo ci ha da sempre turbati.
Sono numerose le situazioni in cui una reazione a un momento di crisi ci fa dubitare di noi stessi e scatena a posteriori sensi di colpa o fissazioni.
Specialmente quando ragioniamo secondo una logica lineare “ho fatto X, quindi vuol dire che io sono Y”.
Sbagliato. Hai fatto “X” perchè in quel momento la parte istintiva e ancestrale del tuo cervello ha ritenuto essenziale farlo e non ha aspettato il tuo parere.

Resistere alla paura o contestare quello che sentiamo genera di solito ulteriori problemi.
Eppure è il trend dei nostri tempi: mai sentirsi tristi o stanchi, stare bene e basta.
Il fatto è che l’istinto sente il pericolo meglio di noi, che sia un incendio o una persona che ci opprime.

A tal proposito ricordo una paziente di diversi anni fa che lamentava un fidanzato che le stava troppo addosso, ma lei non voleva affrontare il problema. Diceva che in fondo “andava bene così” e che “forse era lei che pretendeva troppo”.
Finché non iniziò a mancarle il respiro in determinate situazioni.
Si sentiva soffocare e si prendeva paura, bloccando ulteriormente la capacità di respirare.
In questo caso il sintomo era addirittura didascalico: lui mi soffoca – mi manca il respiro.
A quel punto la paziente non ebbe altra scelta che ammettere che la situazione andava affrontata, e così fece.
Questo scatenò un pò di trambusto, ci fu qualche discussione, come al solito il fidanzato diede la colpa “allo psicologo” (è un classico), e poi tutto si sistemò.
Appena le dinamiche di coppia cambiarono i sintomi scomparvero.

La nostra mente evoluta può ovviamente prescindere dall’istinto animalesco “combatti o scappa” e ha incredibili strumenti per farlo, ma non si può nemmeno pretendere l’impossibile.
Almeno finché non ci saremo evoluti un altro pò.
Siamo scesi dal banano ventimila anni fa, ne riparliamo tra altri diecimila, vai.
Me lo segno sull’agenda.

Dott. Andrea Aiazzi