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Monograff: “Non voglio essere banale per piacere”



L’arte di Monograff ancora tutta da scoprire

Di formazione accademica, Monograff, è un giovane artista che non ama essere catalogato. Sperimenta diverse tecniche dallo spray agli acrilici, dalla fotografia alla calcografia, la sua fase di ricerca artistica è in continuo movimento e la sua sete di conoscenza è palpabile.

È molto distante dall’arte “commerciale”, quella fatta esclusivamente per vendere o per accaparrare follower sui social. Monograff cerca ispirazione in chi riesce a tradurre in realtà il legame dell’intervento con il luogo in cui viene effettuato e da chi non si lascia andare a strumentalizzazioni e giochetti mediatici. Preferisce l’impopolarità alla perdita della coerenza artistica.

Perché Monograff?

Monograff non ha un significato preciso… La prima volta che ho usato le bombolette, con gli amici del liceo, ho scritto Mono, e poi nel tempo è rimasto invariato.

Oramai mi ci sono affezionato.

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Ci racconti il tuo percorso artistico ?

In realtà ho cominciato relativamente tardi, frequentavo il Liceo Classico Michelangelo a Firenze, dove si parlava di tutto tranne che di graffiti; poi a metà percorso ho voluto cambiare e spostarmi all’artistico. Scelta giusta direi. Qui sono entrato in contatto coi primi ragazzi che scrivevano per strada, ho cominciato a seguirli e a provare a fare cose anche io con gli spray.

Finito il liceo sono passato all’Accademia di Belle Arti e, durante il primo anno, ho conosciuto James Vega, che mi ha portato per la prima volta a dipingere in “fabbrica”. Da lì poi le cose sono cambiate e ho imparato a usare più tecniche possibili, sia sui muri (rulli, pennelli, spray ecc.) sia nella mia ricerca accademica (acrilico, olio, china, serigrafia, calcografia, fotografia e così via).

Diciamo che ho cercato di imparare più tecniche diverse sia perché penso possano aiutarmi e rendere più ampia la mia produzione, ma anche perché (forse ancora) non riuscivo a trovare uno stile che mi soddisfacesse a pieno e nel tempo…

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Riesci a dare una definizione del tuo stile?

Come dicevo sopra, non saprei esattamente come definirmi.

Non mi sento a pieno uno streetartist, sia perché i miei interventi in strada in questo periodo sono rari, sia perché oramai è diventata una moda farsi chiamare così. Tutti ormai sono streetartist, anche se per assurdo l’unica cosa che hanno in comune con questa pratica è che lo fanno la sera dopo cena…

Sto seguendo una ricerca personale in studio, dipingo a olio, ogni tanto riporto queste cose sui muri… Non saprei quindi come definirmi; ogni volta che mi sento catalogare dagli altri credo che si sia creata una concezione sbagliata e troppo semplicistica del muralismo e della streetart.

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C’è un tuo lavoro al quale sei particolarmente affezionato? Se si, perché?

Spesso i lavori che faccio dopo qualche settimana smettono di piacermi perché ne noto i difetti e vorrei poterli rifare.

Alcuni però hanno un significato particolare, ad esempio il primo intervento in assoluto con gli spray al CPA, in occasione del newroz curdo (sempre presente, che tutte le mattine mi ricorda da dove son partito), oppure una balena enorme dipinta sul braccio di Barletta, 1km dentro il mare.

Di quelli più recenti sicuramente il pilone a Fi Sud, che raffigura un gregge di pecore, e la macchina abbandonata dentro le OGR alla Leopolda.

Questi ultimi sono il primo collegamento tra quello che faccio in studio e la mia ricerca artistica degli ultimi anni.

Quanto conta la comunicazione di un’opera per te?

Nelle mie opere è raro che ci sia un messaggio esplicito, spesso si intravede o lo si intuisce, ma non necessariamente significa lo stesso per tutte le persone che lo osservano.

Dipingo situazioni che ritrovo in quello che faccio tutti i giorni, cerco perlopiù di rimandare sensazioni contrastanti e creare una sorta di automatismo surrealista che faccia scattare qualcosa nello spettatore.

Allo stesso tempo, se non scatta nulla, non ne faccio un dramma: quello che dipingo è una rappresentazione di cui voglio godere in primis io. Questo non vuol dire essere egoisti, ma semplicemente voglio che le cose che faccio mi piacciano e mi rimandino le sensazioni che provo in quel momento.

Non dipingo per far scalpore o acquisire fama su Instagram.
Non voglio essere banale per piacere.   

Sei sempre coinvolto in varie sperimentazioni, la prossima?

Bella domanda, non saprei proprio.
Bollono tante cose in pentola ma non voglio raccontarle e nemmeno io so quale di queste diventerà realtà!


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