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Cinema

The Art of Disobedience – Un film sul writing fatto da un writer



Ho visto The Art of Disobedience a Firenze, e l’ho anche presentato, insieme a Michele Crocchiola, direttore del cinema Stensen, e Gianluca Milli, co-fondatore della Street Levels Gallery. Ma più che una presentazione è stato un incontro necessario. Perché The Art of Disobedience non è solo un documentario: è una dichiarazione d’intenti.

GECO è uno dei nomi più presenti e discussi del writing italiano. Ha riempito Roma — e non solo — con il suo nome. Non una volta, non cento. Migliaia di volte. Una presenza costante, quasi ossessiva. E The Art of Disobedience è il film che racconta questa ossessione dal punto di vista di chi l’ha vissuta e agita in prima persona.

Il film infatti è scritto, diretto e prodotto dallo stesso GECO, e questo lo rende qualcosa di raro: un film sul writing fatto da un writer, non da un giornalista, un sociologo o un documentarista esterno.

Questo cambia tutto.

Il film non cerca di spiegare, contestualizzare, nobilitare. Non è lì per giustificare niente. È una presa di parola diretta, autonoma, pienamente dentro la cultura che racconta. Ed è proprio questo che lo rende potente.

GECO ha uno stile riconoscibilissimo. Lettere grosse, tratto netto, presenza continua. Non si mimetizza, non varia, non si evolve. Si impone, sempre uguale a sé stesso, come un ritornello urbano impossibile da ignorare. È questa coerenza ossessiva che rende il suo lavoro immediatamente riconoscibile e, per molti, fastidioso. Per altri: emblematico.

Una delle cose che colpisce di più nel film è come riesca a marcare la differenza tra Street Art e Writing. Non è una differenza tecnica, ma culturale. La Street Art, spesso, cerca un dialogo col pubblico. Il Writing no.

Il Writing è affermazione, non richiesta. È linguaggio interno a una comunità, e spesso ostile all’esterno. The Art of Disobedience lo racconta bene, senza didascalie. È un film fatto da dentro, ed è raro vedere qualcosa del genere circolare nei cinema.

Per me è stato anche personale. Prima di tutto perché ho un passato da writer, e quindi certe dinamiche, certi gesti, certe fughe notturne me le porto ancora addosso. Ma anche perché questo film mi sembra necessario oggi, in un tempo in cui l’immagine urbana viene continuamente regolata, pulita, addomesticata.

GECO non cerca il permesso. E non chiede consenso. Ma obbliga a guardare. E a farsi delle domande.

Se potete, andatelo a vedere.

Le prossime date sono già fissate: The Art of Disobedience – Italian tour