L’Eterna Ispirazione e lo Stupro della Musa
di Janos Mark Szakolczai7 Dicembre 2013
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dicembre2013L’eterna ricorrenza è uno dei concetti chiave per la comprensione del pensiero di Nietzsche. Eventi si ripetono nello spazio e nel tempo seguendo un senso logico fuori dalla comprensione umana, ma stabile, immobile, spaziale e sopratutto, ripetivivo. La nostra nascita è stato l’incontro fortuito tra un seme ed un uovo, e prima ancora la nascita dei nostri genitori ha avuto luogo nelle precise, medesime circostanze. Che significato hanno nel varcare del tempo? Cosa distanzia quei venti, trenta anni tra un atto, tra una concezione, tra un sorriso e l’altro?
Il giorno segue la notte in un cerchio accuratamente calcolato, e la luna, nella sua incredibile simmetria in forma e dimensione con il sole. Sorge nelle ore più buie della notte. Eppure, anche di giorno, spesso, alziamo gli occhi e vediamo il suo pallore vibrare nell’azzurra distanza. Il suo ritorno è ripetuto, eppure non è simmetrico, vi sono oggetti che hanno tempo, altri che hanno un senso, altri che semplicemente non hanno previsione, ma continuano e ricorrere.
L’ispirazione è uno di essi. L’ispirazione e la musa che ne stringe la mano, passeggia insieme ai pensieri ed aiuta a concatenarli. La nostra musa. L’uomo vive nella pacata certezza di aver un destino, o se non altro, un certo talesto, bisogno di espressione, bisogno di dimostrazione. L’uomo vive nella certezza del proprio valore e la necessità di renderlo noto, renderlo reale, renderlo unico. Molti pensano che questo sia il ruolo della musa: mettere ordine nell’oscuro vibrare della mente, concentrare in una penna, in una fotografia, in una sinfonia quella nostra energia creativa. Una musa che ci permette di svuotare l’eterna ricorrenza di pensieri e idee nella nostra mente e di plasmare, da quella energia, altra energia. Questo è l’amore che ci lega tra noi, il nostro destino, la nostra passione, la nostra energia di vivere.
Ma i pensieri, le idee, le passioni, gli amori non durano per sempre. Si alimentano da se, si connettono assiduamente, si ricercano tra le sinapsi della nostra energia vitale, si distinguono nei sogni e si alimentano nelle mattine, quando appena lucidi, ci voltiamo verso la finestra, e fissiamo due corvi tagliare il cielo d’inverno tra gli alberi senza foglie. Viviamo nella concezione che ogni giorno è un gradino da superare che ci avvicina a quella scalinata immensa che è la via verso il paradiso, la via verso il nostro successo, la fine della mediocrità, la fine dell’attesa, la fine della ricerca. Il giorno è passeggio, la notte è riposo, la vita è traguardo.
Ma i pensieri, le idee, le passioni, gli amori non durano per sempre. La mente macina finché in vita ma non per questo mantiene la sua qualità. Il cuore batte ma non per questo è sano. Anche i pensieri possono abbandonare la via della conoscenza, dell’originalità, e se da giovani si credeva che con gli anni si diventerà sempre più saggi, sempre più maturi, esisiste purtroppo quello stacco, quel silenzio, in cui la mente improvvisamente diverge dalla bellezza, e si perde in una selva oscura di pensieri stanchi, vuoti, senza valore. Il talento, a cui avevamo dedicato tanto e altrettanto sperato, si annebbia.
Così l’amore. Quella passione calda piena di follia che ci ha accarezzato una, due, tre volte, quella speranza adolescenziale che si credeva può solo crescere, portare al matrimonio, portare alla famiglia, alla convivenza, alla morte mano nella mano, anche quella, tutto ad un tratto, si allevia, come una brace, una volta persa la fiamma, che arde silenziosa senza più creare luce.
Viviamo nella concezione che la vita ripete i suoi attimi felici, come la natura, con le sue stagioni e le sue costellazione ci dimostra. Viviamo nella concezione che i pensieri si ripeteranno, che le mani sul foglio ritroveranno il rigo dove poggiare la penna… viviamo sognando che le passione, gli incontri, le lenzuola si ritrovino, si ripetano, si assaporino, ancora, ed oltre, nel tempo, oltre i nostri corpo, oltre i nostri ricordi.
Ma i pensieri,le idee, le passioni, gli amori non durano per sempre. La Musa, l’amante, la connessione di energia e vita tutto ad un tratto ci lascia. Ci svegliamo, nella notte, sudati e stanchi, ma senza intenzione di dormire, soli e assetati, con una lacrima che non permettiamo di scendere negli occhi. Scopriamo che l’eterno ritorno forse è una mensogna. Scopriamo che forse questa è l’unica vita, l’unica passione, l’unica energia, l’unica forza che abbiamo a disposizione. Scopriamo che se questo è la nostra unica possibilità di espressione, di creazione, di decisione, la nostra vita fino ad adesso è stata persa, e quello che rimane è tutto ciò che meravigliosamente abbiamo.
Ed è allora che stringiamo le braccia della nostra musa, e contro al volere della nostra mentre, della nostra comprensione, della nostra energia, la forziamo nei pensieri, la forziamo sulla carta, la forziamo sulla tastiera, la forziamo sullo spartito.
Scopriamo che quello che circonda è ripetuto perché questo stupro è avvenuto. L’orrore del gesto dove la musa che ci aveva abbandonato riene rilegata a noi, non per naturalità degli eventi, non per sorte, non per un eterno, divino ritorno, ma per la propria mania di grandezza, mania di conclusione, mania di accettazione. Il terrore di morire soli, incompresi, insensati. La vecchiai che morde rughe intorno a gli occhi. I pensieri senza originalità che spiccano dalle labbra senza riscontro. L’amore senza passione che vaneggia nella paura di rimanere soli.
Lo stupro della musa ha luogo così, come le parole di un articolo sullo schermo di un computer. Lo stupro violento di qualcosa che ci ha lasciato ma per la nostra mania abbiamo reso nuovamente nostro. Lo stupro, la constrizione, l’incapacità di accettare, che la vita non è fatta di soli successi, la vita non è fatta di ripetuti di alti e bassi, l’incapacità di accettare che forse la vita è una linea retta da cui non si torna indietro. La disperazione di tale comprensione connette il gesto. Prendere per mano quell’energia che si è fatta distante e renderna nuovamente propria, perché forse, perché in questo attimo, in perché esiste il rischio, che non si avrà mai più una seconda possibilità.
Ma è dunque questo che disse Nietzsche? E’ dunque questo il gesto così normale, così meccanico, di un seme che incontra un uovo, di un figlio che nasce da una madre, ed il figlio che adulto concepisce una futura madre… sono ripetizione che avvengono nelle macchie del destino, o sono tutte, nella loro passione, nella loro rivelazione, solo stupri di muse?