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I graffiti sulla tramvia



Nella notte di venerdì 13 maggio 2011 alcuni writer hanno fatto incursione nel deposito di villa Costanza a Scandicci e hanno “sverginato” per la prima volta la tramvia.

Prima di andare avanti vorrei precisare che ho già ampiamente espresso il mio pensiero sui graffiti qui.
Quelle che seguono sono considerazioni personali da ex writer.

Che sarebbe successo prima o poi era scontato e non sono rimasto sorpreso di questo “attacco” che i giornali hanno fortunatamente identificato come un gesto «senza motivazioni politiche, ma come una bravata di un gruppo di giovani writer».

Dopotutto lo spostarsi dai muri alle superfici mobili fa parte del naturale processo evolutivo del writer e il graffito sul treno è un fenomeno impossibile da fermare, come si può vedere in tutte le metropoli del mondo e come è noto alle Ferrovie dello Stato.

La cosa che invece proprio non capisco è il modo in cui è stato realizzato quello che per molti poteva essere un traguardo.

Anni fa, quando facevo i graffiti, ricordo che parlavo con i miei amici di allora di quando un giorno ci sarebbe stata la tramvia e come si sarebbe potuto fare per dipingerla.

Nel mondo del writing ci sono delle azioni che ti permettono di diventare una leggenda e sicuramente essere il primo a fare un graffito su un certo treno è una cosa che farà parlare di te.
A distanza di anni tutti si ricordano ancora che Dork fu il primo italiano a dipingere la metro di New York.

Insomma quello che voglio dire è che lo scopo di un writer è quello di far girare il più possibile il proprio nome, ok. Ma un writer dovrebbe far girare il suo nome in quanto è uno più bravo degli altri, non solo più vandalo. Prima di dipingere per strada (o su un treno) uno dovrebbe essere veramente bravo su carta e quando decide di prendersi uno spazio che non ha a disposizione dovrebbe utilizzarlo per dimostrare le sue capacità.

La conclusione è che i writer che hanno compiuto questo raid non saranno certo ricordati come coloro che hanno dipinto per primi la tramvia, ma come «cani che pisciano all’angolo per marcare il territorio» (cit. Clet).