“Jesus VR – The story of Christ” è il primo lungometraggio realizzato in VR e presentato al 73° Festival di Venezia.
Il film nordamericano ripercorre in 90 minuti la vita di Gesù. A Venezia sono stati presentati i primi 40′ e la casa di produzione -la canadese Autumn Productions– per l’occasione ha allestito una sala con visori di realtà virtuale e poltrone girevoli a 360° che hanno permesso una visione più agevole dell’opera. Roba ad alto budget per capirci.
Jesus VR è stato girato in Italia, a Matera, stessa location nella quale Mel Gibson ha girato “La passione di Cristo”. Uscirà a Natale, per la data in cui è fissata la nascita di Gesù. Non esistendo ancora sale cinematografiche attrezzate per la realtà virtuale, probabilmente potremo vederlo acquistando il file e guardandolo da casa se provvisti di un visore, altrimenti nulla.
Personalmente non ho avuto modo di vederlo ma, raccogliendo commenti ed informazioni qua e là e servendomi della mia esperienza con la VR, posso dirvi che l’opinione ricorrente rispetto a JesusVR è che sia abbastanza pesante e lento.
Le scene hanno pochissimi stacchi e quelli che ci sono richiedono un ulteriore sforzo in quanto presentano passi della Bibbia. L’inquadratura è fissa e la storia pare non sia recitata nel senso comune del termine; dato che la realtà virtuale permette una visione immersiva e totale, anche gli addetti ai lavori hanno dovuto vestire i panni dei personaggi per non stonare all’interno della scena.
Si assottiglia quasi fino a svanire lo scarto che c’è tra realtà e finzione. Lascio a voi le deduzioni filosofiche.
Nonostante la lodevole ambizione di David Hansen che ha diretto Jesus VR, l’opinione che circola in rete va a sostegno del fatto che tra questo film ed il cinema ci sia un abisso, qualcuno commenta dicendo che se non c’è montaggio non si può parlare di cinema.
Al riguardo il regista crede che l’importante sia evangelizzare, se lo dice lui. Anche qui lascio a voi le argomentazioni da sviluppare.
JesusVR dunque, al di là della curiosità generata dalla realtà virtuale, non sembra aver riscosso molto successo.
Ha diversi difetti qualitativi nell’immagine -cosa in realtà abbastanza normale contando che la VR è ancora work in progress-, la storia non sembra essere narrata in modo allettante e, mio parere personale, ad oggi 90′ (ma anche 40′) per la realtà virtuale sono troppi.
Non so se avete avuto modo di provare la VR (low cost QUI) ma può dar fastidio generando nausea o mal di testa, a me succede ad esempio. Inoltre l’immersività nella realtà virtuale richiede abbastanza concentrazione quindi stanca.
Iniziare con una sessione da 90′ mi sembra veramente tanta roba, come andare alla prima lezione di sub ed essere calati a 30 metri di profondità nell’oceano, nascere e volare insomma.
Probabilmente con gli investimenti fatti per JesusVR si poteva aspirare a qualcosa di più.
Fatte le critiche del caso comunque tanto di cappello per il coraggio. La VR è un campo ancora poco esplorato e da sperimentare, quindi ben venga chi ci prova.
Non penso che il cinema in realtà virtuale andrà a sostituire il cinema tout court, forse è più adatta ai videogiochi, alla pornografia o ai documentari. Chissà.
Fra parentesi trovo divertente questa cosa che la realtà virtuale permetta così facilmente e senza blasfemia di parlare nello stesso articolo di pornografia e figure sacre. Chiusa qui.
Sicuramente la realtà virtuale è qualcosa di diverso che arriva ad offrire stupore in un’epoca che vive per lo più di indifferenza.
A questo riguardo mi piace pensare all’Italia e a Venezia come luoghi dove presentare avanguardia. Che poi il prodotto finale necessiti miglioramenti può essere.
Ancor più mi piace pensare (lasciatemelo dire), che c’eravamo anche noi al Festival a generare sorpresa e che NoBorders, documentario in VR, ha vinto.